25 aprile, il miracolo della libertà

Il 25 aprile è, in estrema sintesi, anniversario della Liberazione, festa della Resistenza, conclusione di una fase tragica della storia del nostro Paese e premessa necessaria per quella che sarà la Costituzione Repubblicana. Festeggiarlo è importante soprattutto in tempi di revisionismo strisciante. Le incursioni verbali di Ignazio La Russa e il disegno di legge presentato da Fratelli d’Italia con l’equiparazione delle foibe all’Olocausto rappresentano la parte più scoperta di un fenomeno in rapida accelerazione che si muove lungo un’unica traiettoria disegnata dal nuovo revisionismo della destra. Ci sono ancora persone per le quali la Resistenza diventa un’eredità scomoda da nascondere quanto prima nella soffitta della memoria. Per queste ragioni occorre più che mai impegnarsi per un esercizio corretto della memoria su una delle date fondamentali della nostra storia democratica. L’8 settembre del 1943 vide il dissolvimento dello Stato ancora permeato da quel fascismo che aveva trascinato colpevolmente e scelleratamente l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, un conflitto che, secondo le idee hitleriane, avrebbe dovuto piegare l’Europa e il mondo a un’ideologia basata sulla razza e sulla violenza. La Resistenza si organizzò e nei venti mesi che seguirono rappresentò una prima fase costituente, la premessa e la promessa di una Costituzione democratica, rendendo possibile il 25 aprile. La Resistenza fu un fatto straordinario che, come disse Nilde Jotti “realizzò una unità veramente eccezionale che andava dagli ufficiali badogliani agli operai comunisti”. Un movimento le cui varie componenti sono state molte e diverse. Dalla Resistenza civile fatta di tante piccole e grandi disobbedienze a quella militare dell’8 settembre 1943 con la quale, nonostante la pressoché completa assenza di ordini, reparti dell’esercito si opposero ai Tedeschi sia in Italia che in terra straniera, come a Cefalonia e nelle isole greche, fino al rifiuto di centinaia di migliaia di soldati di venire meno al giuramento fatto al re, con il loro confinamento nei lager e campi di lavoro tedeschi che significò per molti la morte. Gli scioperi operai del 1943 segnarono il primo dissenso di massa, una sfida in campo aperto al regime. Fu Resistenza l’azione delle donne, dapprima infaticabili fiancheggiatrici e soccorritrici dei soldati che, sbandandosi all’8 settembre, cercarono un rifugio e vesti civili, e in seguito diventando staffette e porta-ordini dei C.L.N. fino a partecipare come partigiane combattenti alla lotta armata. Un’opera preziosa, delicata, difficile vide impegnata tanta parte del clero, non solo per il sostegno al popolo ma anche nell’impegno diretto nel movimento resistenziale perché la Resistenza segnò una frattura netta, anche generazionale, rispetto al Fascismo. Se non si considera attentamente tutto ciò, si rischia di smarrire il significato ampio di guerra di popolo che possiamo attribuire alla Resistenza, in cui certamente la punta, importantissima, dell’iceberg fu quella dell’organizzazione capillare del territorio attraverso i C.L.N., l’azione delle brigate e delle divisioni partigiane, i GAP (i Gruppi Azione Patriottica) le SAP (Squadre Azione Patriottica), i gruppi di Difesa della Donna. E il bilancio nazionale di tutto questo fu di quasi 45mila partigiani morti cui vanno aggiunte 150mila vittime civili. Vale la pena, in conclusione, ricordare con le parole di Norberto Bobbio il senso di tutto ciò: “Dopo venti anni di regime e dopo cinque di guerra, eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà”.


Marco Travaglini