25 aprile nel segno della pace e della libertà

Più di ottant’anni fa la Resistenza nacque da una scelta. Di fronte al crollo delle istituzioni e dello Stato, in un paese lacerato dalla guerra in cui era stato precipitato tragicamente dal regime fascista, l’8 settembre del 1943 segnò per gli italiani una sorta di resa dei conti con se stessi. Una parte di loro interpretò quel momento come la fine di una stagione di carestia morale e di avvelenamento delle coscienze. Riunirsi e formare le prime bande partigiane fu la scelta consapevole di chi visse la Resistenza come il momento in cui prevalse l’esigenza di non doversi più vergognare e di riscattare, con quel gesto, venti anni di passività e di ignavia. Lo sgomento nei giorni del l’armistizio si capovolse in voglia di azione, l’umiliazione in desiderio di riscatto. Tra le macerie dell’Italia fascista nacque un sentimento nuovo e potente da parte di coloro che avvertirono il bisogno, come scrisse Eugenio Colorni “ di non avere niente da rimproverarsi, di essere in pace con la propria coscienza, di essere presentabili di fronte a qualsiasi istanza giudicante”. Due fronti opposti si diedero battaglia, il nazifascismo e l’antifascismo. Da parte del primo il conformismo e la difesa dello stato delle cose, l’abitudine al compromesso più vile e la delazione, il tirare a campare; dall’altra un imperativo categorico ad agire, la consapevolezza che solo nel conflitto e nell’opposizione aperta al regime e ai suoi alleati nazisti si potesse realizzare il desiderio di essere uomini liberi. Quelli che diventarono partigiani erano uomini e donne che, come tutti, avevano slanci e coraggio, debolezze e fragilità, forza d’animo, generosità e limiti caratteriali. Erano persone normali. Eppure, all’appuntamento con la storia, diedero il meglio di sé; combattendo diventarono migliori e migliorarono questo paese. Fu quella scelta, quello “scegliersi la parte” che oggi può rendere fiero e orgoglioso della Resistenza l’intero popolo italiano. Il 25 aprile è, in questo senso, festa di tutti. Chi insiste nell’interpretare questa data fondativa della nostra democrazia come un evento divisivo lo fa perché nega o manipola la storia, perché prova nostalgia per un tempo che ci ha lasciato solo vergogne e violenze, guerra e lutti. Il 25 aprile del 1945 ci liberammo da una dittatura feroce, alleata di un totalitarismo ancora più feroce che fu capace di macchiarsi di un genocidio come quello della Shoah. Il fascismo fu una pagina nera, segnata dal dolore e dalla morte, e i segnali troppo frequenti nei discorsi che richiamano quel passato o tendono a sminuirne l’orribile significato vanno contrastati con il dovere civile e storico di ricordare. Perpetuarne la memoria del significato della Resistenza equivale a ritrovare la scintilla di allora in chi oggi si impegna nel rafforzare la democrazia repubblicana mettendo in atto scelte altrettanto consapevoli, violando in modo consapevole e determinato le regole del conformismo e del compiacimento, dell’allinearsi al verbo muscolare di chi coltiva l’autoritarismo come ideale; di chi si avventura nei luoghi dell’emarginazione e della sconfitta, in chi sfida il male del silenzio delle istituzioni, la sordità del potere, in chi testimonia nel suo esempio la volontà di rompere la crosta dell’egoismo e degli interessi particolari. In chi, come affermava Antonio Gramsci, odia l’indifferenza che è sempre il peso morto della storia e sceglie consapevolmente di essere partigiano sempre, ogni giorno, tutti i giorni. A maggior ragione in questo tempo dove soffiano i venti di guerra dal Medio Oriente all’Europa dell’Est, dalla Palestina all’Ucraina. Anche in questo il senso del 25 aprile ci offre un messaggio universale: la guerra è un orrore, sempre. Un orrore che viene vissuto nel sangue e nel dolore soprattutto dagli innocenti e dai più fragili. Per questa ragione l’unica parola che si può pronunciare davvero senza se e senza ma è pace. Chi farà questa scelta renderà onore ai protagonisti della Resistenza, sarà coerente con i desideri e gli aneliti di giustizia, di tutela dei diritti e di volontà ad assolvere i doveri che li motivarono e che i padri della patria e della Repubblica riversarono nella carta costituzionale. Così potrà guardarsi allo specchio e dire, davanti a se e a tutti, con serena consapevolezza, di aver compiuto il proprio dovere.


Marco Travaglini