L'Associazione

L'ANPI. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, fu costituita il 6 giugno 1944, a Roma, dal CLN del Centro Italia, mentre il Nord era ancora sotto l'occupazione nazifascista. Lo Statuto, tra gli obiettivi si poneva quello di ‘’restituire al Paese una piena libertà e favorire un regime di democrazia per impedire in futuro Il ritorno di qualsiasi forma di tirannia e assolutismo‘’.
L'Associazione ebbe una sua rappresentanza alla Consulta Nazionale i cui lavori si svolsero tra il settembre 1945 e il referendum istituzionale dell'anno successivo. Dal 1948 al 1950 si dispiegò un vigoroso impegno dell'Associazione nel difendere i partigiani dall'onda reazionaria e restauratrice che nel frattempo aveva preso vigore. Da allora venne peraltro anche riaffermato tutto l'impegno a consolidare le istituzioni, nella convinzione che antifascismo e Resistenza debbano essere intesi come lotta contro tutte le minacce alle libertà individuali, contro l’ingiustizia sociale e contro ogni forma di discriminazione tra i cittadini.
Dopo tenaci battaglie per difendere e sviluppare il tessuto democratico del nostro Paese, I"ANPI riafferma oggi un rinnovato impegno a conservare e mantenere viva la memoria, a trasmettere ai giovani la lezione della Resistenza, a fare in modo che dalia memoria si sviluppi una crescita civile coerente con i valori che i resistenti hanno posto a fondamento della Costituzione repubblicana. 

Per saperne di più: www.anpi.it


La sezione ‘Eusebio Giambone’

In occasione dell’intitolazione della nuova sezione Torino centro dell’ANPI Pier Giorgio Betti, partigiano e giornalista ricorda Eusebio Giambone

"Era un carattere aperto, schietto. Gli ero molto attaccata, sin da piccolina lo accompagnavo dovunque fosse possibile perché lui amava parlare con me di tanti argomenti, mi insegnava, ragionava, spiegava. Gli sarebbe piaciuto, diceva, che fosse cosi per tutti i bambini". E' il ricordo più vivo, dopo tanti anni Gisella ci torna su più volte raccontando di quel papà buono e paziente ma anche severo quando era il caso, un padre come tanti altri in quei casoni popolari di Borgo San Paolo, che raccomandava alla figlioletta di voler bene ai libri, di studiare, di darsi una buona istruzione. Non solo per un giusto desiderio di affermazione personale. Operaio tornitore, comunista, Eusebio Giambone guardava a uno scopo più alto, e lo ripete in quel testamento Spirituale e politico che sono le lettere d'addio alla moglie Luisa e all'adolescente Gisella scritte poche ore prima di essere fucilato al poligono di tiro del Martinetto insieme ai suoi sette compagni del Comitato militare regionale del CLN. Dice alla figlia: "Studia non solo per il tuo avvenire, ma per essere anche più utile nella società". E ancora: "La vita vale di essere vissuta quando si ha l'ambizione di essere non solo utili a se stessi, ma a tutta l'umanità".

Nato nel 1903 a Camagna Monferrato, lui quella scelta l'aveva fatta giovanissimo. A sedici anni lavora in una piccola officina a Torino e si iscrive alla gioventù socialista. E' la prima tappa di un percorso ininterrotto che si snoda attraverso l'incontro col gruppo dell'Ordine Nuovo di Gramsci, l'occupazione delle fabbriche, l'adesione al Partito comunista, l'emigrazione in Francia perché i fascisti gli danno la caccia. Ha frequentato una scuola tecnica, ma continua a studiare da tenace, puntiglioso autodidatta. Prima a Lione poi a Parigi, insieme al fratello Vitale, diventa organizzatore e dirigente dei gruppi dell'unione popolare italiana, organismi dell'emigrazione Creati dal Pci. Fa scuola di antifascismo, ma vuole anche che i connazionali imparino bene il francese per diventare più padroni del loro destino. Dalle file dell'Unione usciranno parecchi volontari delle brigate internazionali in difesa della repubblica spagnola, e tra loro Vitale che muore nella battaglia di Huesca.

Nel 1940 è nel movimento di resistenza all'occupazione tedesca. Lo arrestano e finisce nel campo d concentramento di Vernet dal quale viene consegnato alle autorità di polizia italiane che lo mandano al confino a Castel Baronia, minuscolo borgo della montagna avellinese, con moglie e figlia. Quando, il 25 luglio '43, cade Mussolini, non esita un istante. In agosto è già a Torino, prende contatto con gli ambienti antifascisti, e il Pci lo designa come proprio rappresentate nel Comitato militare. Torino sta vivendo giorni drammatici, impaurita, schiacciata sotto il feroce controllo nazista, con le milizie fasciste che danno il meglio di se nell'opera di spionaggio, catturando uomini e donne, consegnando ebrei alle SS, fucilando. In città e attorno alla città, nel Canavese, nelle vallate alpine sono già entrati in azione i primi gruppi della resistenza armata. Ma bisogna coordinare al meglio quella forza nascente, stabilire una rete di collegamenti, trovare armi e finanziamenti.

E' il compito indispensabile e rischiosissimo del Comitato militare nel quale Giambone ("tutto bianco di capelli, bellissimi occhi neri e intelligenti" come è rimasto nel ricordo di chi poté sfuggire per un pelo alla fucilazione), rappresenta l'elemento di punta che trasmette determinazione, coraggio, serenità. Col nome di Berruti, è un esempio di cui i delegati degli altri partiti apprezzano anche le qualità umane.

Ma forse qualcuno ha commesso un'imprudenza, o forse c'è stata una delazione. Certo è che in quell'alba di primavera del 1944 gli uomini del Comitato, da più giorni, sono seguiti e controllati nei loro movimenti. La trappola scatta il mattino del 31 marzo mentre si stanno incontrando per una riunione nella sagrestia del Duomo. Alcuni sono già dentro, altri ancora fuori della chiesa. Giambone tenta di sfuggire, lo gettano a terra sul selciato, gli sferrano calci. Intanto la polizia è già piombata nell'appartamento di via Cesana dove sequestra documenti del Comitato. "Quando li vedemmo arrivare — dice Gisella — mamma e io non ci facemmo illusioni. Avevamo sempre saputo che se lo avessero preso non ci sarebbe stato scampo". Non potranno più vederlo né parlargli.

I fascisti gongolano, hanno fatto il colpo grosso e Mussolini ordina che si proceda rapidamente, ha premura di mostrare al diffidente padrone tedesco la capacità repressiva della RSI. Sicché il processo a porte chiuse, con una sentenza che era già scritta prima di cominciare, si svolge e si conclude a tambur battente in due giorni, il 2 (è la domenica delle Palme), e il 3 aprile. Giambone è pronto alla prova, calmissimo, sicuro di sé. In un'aula trasformata in una sorta di accampamento della soldataglia che imbraccia i mitra e occupa ogni spazio, rivendica a voce alta di essere comunista, di aver sempre combattuto il fascismo formazioni partigiane. Una sfida lanciata con orgoglio alla corte in camicia nera, strumento Spietato di un potere che non avrà futuro. Con la sua, altre sette condanne capitali, il comandante del Comitato generale Perotti, e Balbis, Biglia, Braccini, Bevilacqua, Giachino, Montano. Alla lettura della sentenza, gli otto replicano all'unisono gridando "viva l'Italia libera!".  Un processo-farsa, "simulacro di processo" lo bolla Giambone assicurando nella sua lettera alla moglie che sarà "calmo e tranquillo di fronte al plotone d'esecuzione" . Non essendo credente non ha voluto la confessione, ma il cappellano del carcere gli "pare tanto un bravo uomo che gli ho chiesto di venir a trovarti perché ti confermasse a voce come veramente mi ha visto tranquillo". Ma, aggiunge, "sono cosi tranquilli coloro che ci hanno condannati? Certamente no. Credono di arrestare il corso della storia? Si sbagliano. Pensano forse di arrestare la schiera di innumerevoli combattenti della libertà con il terrore? Si sbagliano". Profezia lucida e esatta. Dopo pochi giorni, superato lo smarrimento del colpo durissimo, si riallacciarono le fila del movimento partigiano e cominciò a formarsi il nuovo Comitato.

La sentenza fu eseguita alle 7 del 5 aprile perché il giorno prima la polizia tedesca aveva voluto interrogare parte dei condannati. Quando stava per partire la scarica mortale, tutti insieme ripeterono la loro invocazione a un'Italia libera. Alla memoria di Giambone fu conferita la medaglia d'oro.

Lo Statuto