Andrea Liberatori, giornalista gentiluomo

Andrea Liberatori aveva 97 anni quando morì nell’agosto del 2021 a Champoluc, dove si trovava in vacanza con la moglie Anna Maria. A lungo caporedattore dell’edizione piemontese de L’Unità, giornalista preparato e appassionato, colto e raffinato, lo ricordo come un gentiluomo dai modi fermi e garbati che insegnò il mestiere a generazioni di cronisti. Studente di ingegneria al Politecnico entrò nella redazione torinese de L’Unità nel 1948 e per quarant’anni lavorò al giornale fondato da Antonio Gramsci nella redazione torinese, poi a Milano e nuovamente a Torino. Una vita intensa da segretario di redazione, cronista, inviato, capo redattore. Per dodici anni fece parte del consiglio dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte. Nel periodo milanese, tra il 1957 e il 1962, lavorò con Aldo Tortorella direttore e Aniello Coppola capo redattore. Sempre a Milano, con Giulio Trevisani e Arturo Lazzari, partecipò attivamente alla creazione dell’Enciclopedia nuovissima che uscì a dispense con il Calendario del popolo. Chi ha avuto l’opportunità e l’onore di scrivere su quel giornale fondato il 12 febbraio del 1924 (com’è capitato per diversi anni a me) e di conoscere Andrea Liberatori lo ricorda come un maestro. L’etimologia stessa di questa parola si addice alla sua figura: il conoscitore profondo di una disciplina che egli possiede integralmente e che può insegnare agli altri nella maniera più proficua. E così è stato. Con garbo, competenza, pazienza. Per chi quel giornale l’ha confezionato, diffuso, letto, commentato, persino ostentato come un simbolo, una bandiera, è rimasto nella testa e nel cuore qualcosa di più importante e prezioso di un ricordo. Non è stato “solo” un giornale: è stata L’Unità. E Andrea Liberatori, che sostituì Diego Novelli alla guida della redazione che allora si trovava nel palazzone di via Chiesa della Salute, era anch’esso un simbolo grazie alle sue qualità di intellettuale e giornalista che aveva scelto di mettere la sua elegante scrittura, come ricordò Battista Gardoncini, “al servizio di quella che allora si chiamava – ed era – lotta di classe”. Andrea Liberatori condivise quell’impegno con tanti giornalisti e intellettuali come Italo Calvino, Paolo Spriano e molti altri. Un tempo lunghissimo, vissuto raccontando Torino, il Piemonte e l’Italia dal dopoguerra agli anni ’80. Continuando poi a scrivere, a esprimere opinioni, a dare consigli importanti. Quel mondo che incontrai frequentando la redazione torinese di via Chiesa della Salute ai tempi di Andrea Liberatori come capo redattore e Antonio Monticelli capo cronista, non c’è più. E dubito che oggi, amaramente, vi siano eredi alla loro altezza. Rimane un patrimonio di storie e vicende umane che sarebbe un’eresia disperdere. La storia di un giornale, di ogni giornale, è come una tessera del mosaico nella storia di un Paese. E la storia di giornalisti come Liberatori, tra gli ultimi che intervistarono Primo Levi e a cui toccò di scrivere da cronista il giorno in cui si tolse la vita, ne rappresenta una parte importante.


Marco Travaglini