“Compagni”, in un libro la storia dei Pajetta

S’intitola “Compagni” il libro scritto da Elvira Pajetta e pubblicato dall’editore Macchione. Il racconto di una “giovinezza tenace” e coraggiosa, vissuta nel desiderio di una libertà negata dal fascismo e nell’impegno politico che fu un riferimento ideale mai venuto meno nella famiglia Pajetta, incarnato nei giovani Gian Carlo, Giuliano e Gaspare, i tre figli di Elvira Berrini (la nonna dell’autrice) e Carlo Pajetta, avvocato del banco San Paolo di Torino, emarginato per non aver voluto prendere la tessera del Pnf. Ai Pajetta si aggiunge il ritratto, al tempo stesso forte e delicato, della madre di Elvira, Claudia Banchieri. “Come si poteva tenere vivo nel ricordo quel mondo di persone generose, attive che avevano ispirato la loro vita a ideali forti e vi erano rimaste sempre coerenti?”, ha scritto la figlia di Giuliano Pajetta. La scelta del libro è la risposta alla domanda: “Questi fogli rappresentano i giorni di un calendario che per me era necessario comporre”. In “Compagni”  l’autrice racconta una storia che è al tempo stesso intima e pubblica, sviluppata su più scenari. Sullo sfondo ci sono la Francia, pronta ad accogliere i tanti rifugiati politici italiani e la guerra civile in Spagna dove il padre combatté, ventunenne, restando ferito, mentre il fratello maggiore Gian Carlo era in carcere in Italia, condannato dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Giuliano giunse in soccorso della Repubblica dalla Francia, dove era espatriato per evitare l’arresto ed aveva conosciuto Claudia, figlia di esuli socialisti, dalla quale aspettava un bambino, Jeannot. Una foto del 1938 lo ritrae col basco e in divisa, al fianco di Luigi Longo, commissario generale delle Brigate Internazionali. Un’esperienza che segnò moltissimo il secondogenito dei Pajetta. In casa, racconta Elvira nel libro, si conservava come una reliquia una cintura di seta viola, gialla e rossa, i colori  della bandiera repubblicana, “da non toccare per il rischio di sciuparla”. Ci sono poi l‘Unione Sovietica, il paese “dei soviet”, l‘Italia fascista di Benito Mussolini, il campo di concentramento di Le Vernet ai piedi dei Pirenei, la Milano della lotta di Liberazione, l’orribile lager nazista di Mauthausen, l’Est Europa nel dopoguerra. La vicenda familiare si mescola e confluisce nella storia democratica italiana ed europea, muovendo i primi passi dal piccolo paese di Taino, in provincia di Varese, sulla sponda lombarda del lago Maggiore, dove Elvira Berrini e Carlo Pajetta hanno abitato fin dagli anni ’20 e luogo che terrà a battesimo la militanza comunista dell’adolescente Giuliano. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale mise a dura prova i destini dei giovani Pajetta. Giuliano, dopo la vittoria dei franchisti in Spagna si trovava Oltralpe, venne arrestato dai gendarmi francesi e imprigionato nel carcere di Nimes dal quale evase con una rocambolesca fuga. La figlia Elvira, molti anni dopo ha ripercorso lo stesso cammino fatto dal padre verso l’Italia in una sorta di pellegrinaggio laico “dove antiche ferite si sono riaperte per far scorrere la storia”.  La lotta di Liberazione vede i Pajetta impegnati in prima fila. Con esiti drammatici perché il giovane Gaspare, poco più che diciottenne, e il cugino Piero (Nedo) caddero in combattimento durante la lotta di Liberazione: il primo il 13 febbraio del ’44, sulle balze del Cortavolo di Megolo in bassa Valdossola con altri undici partigiani guidati dal Capitano Beltrami e il secondo un mese dopo in uno scontro in montagna con i fascisti. A sua volta Giuliano, dopo essere rientrato in Italia per partecipare alla Resistenza, venne catturato, rinchiuso nel carcere milanese di San Vittore e da lì deportato nella fortezza di pietra in Alta Austria, a venticinque chilometri da Linz. Un’esperienza durissima che raccontò in un libro-testimonianza intitolato semplicemente “Mauthausen”. Il maggiore dei Pajetta, Giancarlo, dopo aver scontato in carcere 11 dei 21 anni di reclusione ai quali era stato condannato dal Tribunale Speciale fascista , dopo la scarcerazione il 23 agosto del 1943 prese parte alla guerra partigiana che lo vide, con il nome di battaglia "Nullo", Capo di Stato Maggiore (ma di fatto vice comandante generale) delle Brigate Garibaldi e membro del Comando generale del Corpo volontari della libertà. Nel racconto che si snoda nelle pagine del libro di Elvira Pajetta c’è molto altro, iniziando dal “dopo 25 aprile”. La gioia della liberazione dal giogo dall’occupazione nazifascista, l’impegno di Giuliano Pajetta e del figlio Gian Carlo nel Pci del dopoguerra accanto a Enrico Berlinguer, i rapporti con l’Urss, i fatti tragici di Ungheria, i ricordi di Roma e Firenze. In una bella recensione è stato annotato che il libro “assolve anche a un debito verso donne coraggiose, tenaci, colte: la bellissima madre Claudia Banchieri, la zia Amalia, la cugina Marcella Balconi (divenuta in seguito uno dei più autorevoli neuropsichiatri infantili: il suo professore, Piero Fornara, sarà eletto alla Costituente come Gian Carlo e Giuliano)”. Tra queste Elvira Berrini, nonna dell’autrice che, rispondendo allo scoraggiato figlio Giuliano di ritorno dalla Spagna, scrisse: “Dal momento che sei tornato tutto d’un pezzo, il resto è ordinaria amministrazione. Comprati un testo di Marco Aurelio, studia la filosofia stoica e insegnala anche a Vera ( nome di battaglia della moglie Claudia, ndr). Studia sul serio, è il più gran conforto del vostro tempo”. Belle foto in parte inedite  e un nutrito numero di documenti testimoniano tutti questi passaggi pubblici e privati. Un lavoro lungo, non facile, durato molti anni. “Negli ultimi anni tutto il mio mondo si era modificato”, scrive Elvira Pajetta. “ Molte cose erano sparite del tutto e molte avevano cambiato posto o dimensione. Mio padre Giuliano era morto nel 1988. Il muro di Berlino, smantellato nell’anno successivo, era diventato un monumento alla Germania unificata. Il Partito Comunista Italiano, dove avevo abitato da sempre, aveva cambiato nome e ora avrebbe dovuto cambiare forma. Mi rendevo conto, certo, che da vent’anni le crepe nei muri della mia casa ideale erano diventate sempre più visibili. La mia famiglia, quella dei Pajetta, non era più quella che mi ero tenuta dentro per tanto tempo, come in un disegno infantile: mia nonna Elvira e i suoi tre figli, Giancarlo, Giuliano e Gaspare, i comunisti. Per questo raccontarla diventava necessario”.


Marco Travaglini