I patti di Saretto, l’antifascismo tra i monti della Val Maira
Il 31 maggio 1944, a Saretto di Acceglio (Cn), si svolse un cruciale incontro tra la resistenza italiana e francese. L’incontro tra italiani e francesi fu organizzato per firmare gli accordi che sancivano rapporti di solidarietà, intesa, collaborazione e lotta contro la dominazione nazifascista. Queste intese rivestirono un importante valore storico, rappresentando la comunanza politica tra i due movimenti in lotta, il reciproco desiderio di stabilire relazioni e ricercare collaborazioni di tipo militare. All’appuntamento si giunse grazie alle relazioni politiche avviate da Costanzo Picco, sottotenente della IV armata rimasto in territorio francese dopo lo sbandamento dell’8 settembre 1943, che stabilì i contatti fra la resistenza francese e italiana tramite Detto Dalmastro, comandante del III settore del Comitato di Liberazione Nazionale. Un primo incontro avvenne il 12 maggio 1944 in alta montagna, al bivacco sul Colle Sautron, per iniziativa della Brigata “Giustizia e Libertà della Valle Maira”, al quale presero parte in rappresentanza dei partigiani italiani Detto Dalmastro, Costanzo Picco, Luigi Ventre — comandante della brigata Valle Maira — e Giorgio Bocca, comandante della brigata Valle Varaita. I francesi erano rappresentati da Jacques Lecuyer, del Comité de Libération National, e da diversi comandanti delle formazioni di maquisards. Al Colle del Sautron ci si accordò per un secondo incontro da tenersi a Barcelonnette, nella valle dell’Ubaye, a una trentina di chilometri dal confine italiano. Al rendez vous del 20 maggio presenziarono Duccio Galimberti, Detto Dalmastro e Giorgio Bocca. L’occasione servì a concordare l’intensificazione dei collegamenti tra le formazioni partigiane dei due versanti del confine, scambiandosi armi, munizioni e due ufficiali che si sarebbero stabiliti presso i rispettivi comandi per concordare azioni comuni: Costanzo Picco e Jean Lippmann. Si giunse così all’incontro decisivo, fissato per il 30 e 31 maggio, per sancire gli accordi anche sul versante italiano con l’arrivo dei maquis francesi attraverso il Colle delle Munie; inizialmente l’intesa doveva essere firmata ad Acceglio, dove si erano ritrovate le due delegazioni passando la notte in paese, ma un improvviso rastrellamento tedesco nella mattinata del 31 costrinse i partigiani a riparare più a monte, nella borgata di Saretto. Parteciparono all’incontro i partigiani Dante Livio Bianco, Ezio Aceto e Luigi Ventre, mentre i francesi vennero rappresentati dal comandante Max Juvenal (Maxence) e dal suo vice Maurice Plantier. L’importanza degli accordi si distingue per il valore dell’enunciazione di una solidarietà tra i popoli oppressi, la volontà di cooperare per la sconfitta del nazifascismo e la costruzione di una nuova Europa democratica e libera da guerre fratricide. Dal punto di vista politico si riconobbe che non vi era ragione di risentimento fra i popoli italiano e francese per le passate vicende belliche in quanto la responsabilità risaliva ai rispettivi governi e non ai popoli; dal punto di vista militare i Patti di Saretto, preso atto della fratellanza fra i combattenti dei due movimenti partigiani, evidenziò la necessità di unire le forze nella lotta contro i nazisti nella fascia alpina, stabilendo contatti continui per creare obiettivi comuni nelle azioni di guerriglia. Il testo, coinciso e denso di significati, rappresentò una delle dichiarazioni più rilevanti della Resistenza europea, di fondamentale importanza nei rapporti tra Italia e Francia dopo la fine della guerra. Leggerlo aiuta a comprenderne il rilievo storico:“Dando seguito a cordiali conversazioni avvenute in un quadro di mutua comprensione; esprimono, a nome delle organizzazioni che rappresentano, la soddisfazione per una ritrovata base comune di intesa; dichiarano che tra i popoli francese e italiano non vi è alcuna ragione di risentimento e di urto per il recente passato politico e militare, che impegna la responsabilità dei rispettivi governi e non quella dei popoli stessi, tutti e due vittime di regimi di oppressione e di corruzione; affermano la piena solidarietà e fraternità franco — italiana nella lotta contro il fascismo e il nazismo e contro le forze della reazione, come necessaria fase preliminare per l’instaurazione delle libertà democratiche e della giustizia sociale, in una libera comunità europea; riconoscono che anche per l’Italia, così come in Francia, la forma migliore di governo per assicurare il sostegno alle libertà democratiche e la giustizia sociale, è quella repubblicana; si accordano per impegnare le forze delle rispettive organizzazioni per il conseguimento dei fini suddetti, in uno spirito di piena intesa e su un piano di ricostruzione europea”. Poche righe dove riecheggia potente lo spirito del “Manifesto di Ventotène” (originalmente intitolato “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”), uno dei testi fondanti dell’Unione Europea, redatto dagli antifascisti Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941 durante il confino sull’isola di Ventotene, nel mar Tirreno. In quelle indimenticabili giornate passate sui monti fra l’alta Valle Maira e la Val d’Ubaye, sprofondando nella neve, combattendo contro il gelo e attraversando di nascosto le postazioni tedesche a presidio delle terre di confine, si consolidò tra quegli uomini l’ideale di un’Europa dei popoli come traguardo della lotta di Resistenza e di liberazione. Il loro pensiero si rivelò così audace che quanto scrissero nei Patti di Saretto venne criticato dai comandi italiani, poiché i concetti espressi andavano ben oltre i confini dell’idea monarchica ponendo le basi per una fase preliminare di costituzione delle libertà democratiche e della giustizia sociale in una comunità europea libera.
Marco Travaglini
Marco Travaglini