Il Giorno della Memoria: La testimonianza di Primo Levi

Il 27 gennaio di ogni anno si celebra in tutto il mondo il Giorno della Memoria. Una data storica, emblematica che ricorda la gelida giornata invernale del 1945, quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz svelando al mondo l’orrore del campo di concentramento, uno dei più importanti del regime nazista, liberandone i pochi superstiti. In ciò che venne svelato agli occhi del mondo era contenuto l’orrore del genocidio, della violenza discriminatoria del Terzo Reich, della cricca criminale di Adolf Hitler.


Una testimonianza forte, sconvolgente scosse le coscienze. Il processo che aveva portato allo sterminio degli ebrei in Europa e alla nascita del sistema concentrazionario nazista era iniziato molto tempo prima con le campagne di stampa, gli episodi e i comportamenti discriminatori e razzisti, legalizzati da diverse disposizioni normative che resero la popolazione ebraica facile preda del nazifascismo che fondava i suoi principi su discriminazione, insofferenza e intolleranza.

“Il mondo non vi crederà mai”, dicevano i carnefici di Hitler ai prigionieri dei campi di sterminio. Alcune vittime, sopravvissute a quell’esperienza, sentirono la necessità e trovarono la forza di portare la testimonianza di quanto accaduto. Tra questi vi fu Primo Levi. Nel capitolo conclusivo de I Sommersi e i Salvati scrisse che la testimonianza era percepita “come un dovere, e insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al di sopra delle nostre esperienze individuali siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, non previsto da nessuno. È avvenuto contro ogni previsione; è avvenuto in Europa […] è avvenuto, quindi può accadere di nuovo, questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”.

Le parole di Sergio Mattarella

Lo scorso anno il Presidente Sergio Mattarella, in occasione del Giorno della Memoria, ricordando le parole di Hannah Arendt (“Morirono come bestiame, come cose che non avevano né corpo né anima e nemmeno un volto su cui la morte avrebbe potuto apporre il suo sigillo”) disse che i nazisti, prima ancora di toglier loro la vita, “avevano sottratto alle vittime le caratteristiche, le qualità, le peculiarità che costituiscono l’essere umano, di tutti e di ciascuno. Le leggi razziali, in Germania – come in Italia – negavano agli ebrei l’istruzione, l’affettività, il lavoro, la proprietà, la casa, la cittadinanza, i diritti. Negare l’umanità per poi sopprimere. E tutto questo avveniva nell’indifferenza di tanti. L’indifferenza: anticamera della barbarie. Un’indifferenza diffusa. Anche in Italia”.

Gli ideologi della menzogna

La negazione e l’indifferenza, appunto. Qui c’è un punto nodale, una questione del tutto aperta. Lo storico Claudio Vercelli nel suo libro “Il negazionismo. Storia di una menzogna” ricostruisce storicamente il fenomeno, ne descrive i protagonisti e gli ideologi, racconta la mappa concettuale di questa inquietante corrente di pensiero che, a intervalli più o meno regolari, si ripresenta con inquietante costanza negando l’evidenza dello sterminio degli ebrei e, con esso, delle condotte criminali assunte dalla Germania nazista. Donatella Di Cesare nel recentissimo “Se Auschwitz è nulla” sostiene come il negazionismo si sia diffuso in modo subdolo nello spazio pubblico assumendo accenti sempre più discriminatori e violenti. Un fenomeno rilevante e da non prendere alla leggera perché va oltre il modo di interpretare la storia del passato, minacciando l’interpretazione del presente e del futuro.

Negazionismo e sua diffusione

La recente e scioccante negazione della pandemia, la banalizzazione dell’emergenza climatica, la manomissione della storia rappresentano solo alcuni dei tanti casi. Restando al tema della memoria e dell’Olocausto è bene ricordare che il rapporto Eurispes 2020 ci ha raccontato come, nell’era della comunicazione sul web e l’accesso all’informazione alla portata di tutti, bastino pochi click del mouse per comprendere come la distorsione negazionista e la manipolazione dei fatti e della storia producano effetti molto. Attualmente nel nostro Paese risulta esserci un 15,6% di opinione pubblica secondo cui l’Olocausto sarebbe un’invenzione, con un 16% che sostiene che la persecuzione sistematica degli ebrei “non ha fatto così tanti morti”. In sedici anni un incremento di quasi sei volte in più rispetto al 2004 quando a negare la Shoah erano il 2,7% degli italiani. Stando al citato rapporto per la maggioranza degli intervistati i ripetuti episodi di antisemitismo sarebbero solo dei casi isolati. Molto più che una spia di un malessere diffuso dove proliferano antisemitismo e odio razziale.

Fare i conti con la Shoah

L’indifferenza, diceva Gramsci, “è il peso morto della storia”. Ieri come oggi. E il negazionismo, allora come adesso, è un virus pericolosissimo e presente. Per fare davvero i conti con la Shoah, allora, non basta più rivolgere lo sguardo soltanto al passato. Non basta perché il veleno della discriminazione, dell’odio e della sopraffazione, del razzismo continua a diffondersi, non è confinato in una dimensione storica, ma riguarda in maniera concreta i comportamenti di molte persone oggi. Se ricordare equivale ad esprimere un dovere di civiltà è necessario però conoscere, vigilare e agire. L’inevitabile scomparsa degli ultimi testimoni induce a pensare a ogni possibile forma innovativa per non dimenticare la Shoah, l’Olocausto, contrastando con efficacia il dilagare del fenomeno negazionista che vive e si alimenta sempre più sul web. Tra le varie modalità e metodologie utili per la trasmissione della memoria vi sono la posa delle pietre d’inciampo, le visite ai memoriali, i viaggi di istruzione nei luoghi della memoria, le lapidi di ricordo, le letture di libri, visioni di film, consultazioni di siti web e social network. Tutto ciò deve essere in primo luogo il compito delle istituzioni democratiche al quale debbono adempiere con il migliore spirito repubblicano e costituzionale.



Marco Travaglini