Il Natale di tregua del 1914

25 dicembre 1914,Belgio. Settore settentrionale del fronte occidentale, trincee delle Fiandre, a sud di Ypres. Faceva molto freddo nel primo Natale della Grande guerra. Asserragliati in trincee contrapposte si affrontavano i soldati nemici: tedeschi da una parte, francesi e inglesi dall’altra. Il conflitto era iniziato da cinque mesi e i combattimenti si erano rapidamente trasformati in una logorante guerra di posizione, anche se molti speravano ancora che non si trasformasse in una carneficina e tutto potesse finire in poco tempo. La storia ci dice che le cose andarono diversamente. A Ypres e dintorni si combatté ininterrottamente per tutti i cinque anni della Prima guerra mondiale. In quella terra al confine con la Francia, tra il 1914 e il 1918, persero la vita decine di migliaia di soldati. Uno dei tributi di sangue di quel conflitto atroce che provocò milioni di morti tra i soldati e i civili. Ypres si guadagnò un posto nella storia per aver dato il proprio nome anche a una micidiale arma chimica, l’iprite. Il solfuro dicloeretile usato dai tedeschi era un gas letale che, accanto al fosgene e al cloro, prese poi quel nome identificativo, sinonimo di morte e sofferenze per gli intossicati. In mezzo a tutto quell’orrore, nella notte di Natale del 1914, avvenne qualcosa di impensabile. Spontaneamente, senza intese condivise dai comandi ci fu una tregua dichiarata istintivamente tra i soldati francesi, inglesi e tedeschi. Nel corso della notte santa dalle trincee vennero intonati i canti della tradizione natalizia e i soldati scoprirono che, pur con parole diverse, si trattava delle medesime melodie. Le luci fioche delle candele fecero la loro comparsa sui bordi delle trincee. Qualcuno propose di smettere di sparare e sorprendentemente l’idea venne accettata, condivisa.

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I soldati impegnati sui fronti contrapposti uscirono allo scoperto, incontrandosi nella “terra di nessuno”. Si parlarono, si strinsero le mani, alcuni di abbracciarono e venne persino celebrata una messa. La mattina del 25 dicembre furono seppelliti i caduti di entrambe le parti e si svolse una breve funzione funebre. Soldati con divise diverse fumarono e cantarono insieme, talvolta scambiandosi auguri e doni, capi di vestiario e bottoni delle giubbe, cibo, tabacco, mostrando fotografie di amici e famiglie, ricordando il tempo di pace. Quanto fu diffusa e ampia la tregua? Difficile dirlo ma è certo che parecchie centinaia di soldati nella zona attorno a Ypres vi presero parte. Quello che accadde quel giorno non fu il diffondersi rapido di un sentimento di buona volontà lungo le linee ma piuttosto una serie di iniziative individuali intraprese in luoghi e tempi diversi. In altre parti del fronte occidentale non ci fu alcuna tregua. Nella maggior parte dei casi il “cessate il fuoco” durò soltanto due o tre giorni, mentre in alcune realtà proseguì fino all’inizio del nuovo anno. Le lettere giunte fino a noi raccontano che fu più facile per i soldati inglesi entrare in contatto con i reggimenti composti da soldati sassoni o bavaresi. I prussiani furono più restii ad accettare la tregua e talvolta non la rispettarono, aprendo il fuoco sui soldati nemici. Un caporale tedesco, incaricato nel ruolo di staffetta porta ordini, passò la notte nei sotterranei di un’abbazia vicino a Ypres e quando seppe che alcuni dei compagni avevano stretto la mano agli inglesi scrisse nel suo diario: “Dove è andato a finire l’onore dei tedeschi?”. Quel diario venne pubblicato alcuni anni dopo con il titolo Mein Kampf (“La mia battaglia”), esponendo sotto forma di autobiografia il pensiero politico del suo autore che si chiamava Adolf Hitler. La “tregua di Natale” provocò una furiosa reazione da parte dei comandi superiori. Erano convinti di aver previsto tutto in guerra ma non avevano preso in considerazione l’imponderabilità della sensibilità del fattore umano. Il nemico, l’uomo che quei soldati si trovavano ad affrontare gli uni contro gli altri, quella mattina di Natale si guardò dritto negli occhi, rendendosi conto senza troppo stupore che si trattava di un essere del tutto simile, con eguali sentimenti e non dissimili affetti. Era come guardare nello specchio la propria immagine riflessa. Nel mezzo di una guerra che Papa Benedetto XV, eletto al pontificato da pochi mesi fece di tutto per evitare pregando contro “l’inutile strage”, quell’episodio di umanità rappresentò per molti un segno di speranza, uno spiraglio di luce nelle tenebre del conflitto. Ma tra questi, come il mondo poté drammaticamente rendersi conto negli anni a venire, non figurava certamente il venticinquenne caporale Adolf.



Marco Travaglini