Il Piemonte e i partigiani del Sud

Sono stati circa 7 mila i giovani provenienti dalle regioni del Sud Italia che hanno partecipato alle vicende della Resistenza piemontese con ruoli diversi: da quelli di primo rilievo nel comando e nella guida del movimento ai più oscuri e semplici militanti. Quella scelta ha comportato costi elevati, sacrifici per tutti e per molti anche il prezzo della vita. Tutto ciò a testimonianza del carattere unitario e nazionale della lotta di Liberazione, non a caso definita il “secondo Risorgimento” italiano, comprovata dal loro impegno nelle valli e nelle città del Piemonte ”, si leggeva nella presentazione della ricerca “Meridionali e Resistenza. Il contributo del Sud alla lotta di Liberazione in Piemonte 1943-1945”. Un lavoro promosso dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, apprezzato e presentato non solo a Torino e in altre località ma anche in tutte le regioni del Mezzogiorno. Le storie di questi italiani che seppero “scegliersi la parte” in quegli anni di ferro e di fuoco riecheggiarono dieci anni fa al Teatro Carignano di Torino che ospitò centinaia di persone per la presentazione di questo importante studio che impegnò tutti gli istituti della Resistenza piemontesi per conto del Consiglio regionale del Piemonte e sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Il contributo dei cittadini meridionali alla lotta di Liberazione fu grande e diffuso, soprattutto nella nostra regione, e questa realtà rafforzò in modo significativo il concetto di resistenza al nazifascismo come fenomeno di massa al quale partecipò tutto il popolo italiano. All’indomani dell’8 settembre ’43, con la dichiarazione dell’armistizio si creò in Italia una situazione di sbando generale che coinvolse in modo diretto l’esercito. Centinaia di migliaia di giovani si trovarono di fronte l’esercito tedesco e i corpi speciali delle SS che iniziarono l’occupazione militare del suolo italiano mentre i loro alleati fascisti diedero vita alla repubblica di Salò. In tanti furono i militari fatti prigionieri e deportati nei campi di concentramento. Altri, e tra questi moltissimi giovani che venivano dalle regioni meridionali, non esitarono a raggiungere le montagne formando le prime brigate partigiane per combattere con le armi l’occupante nemico e i fascisti. Una scelta stimolata anche dagli appelli civili che diventarono una vera e propria chiamata alle armi, come quello del rettore di Padova, il siciliano Concetto Marchesi. Il prestigioso intellettuale antifascista, il 1° dicembre del ’43, alla cerimonia di apertura dell’anno accademico, disse agli studenti: "Voi insieme con la gioventù operaia e contadina dovete rifare la storia dell’ Italia e costituire il popolo italiano. Non lasciate che l’ oppressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni e liberate l'Italia dalla schiavitù e dall'ignominia". Lo stesso Marchesi, grande latinista ed accademico, partecipò attivamente al governo della Repubblica partigiana dell’Ossola durante i suoi “quaranta giorni di libertà”. Tra i combattenti meridionali citati nella ricerca ci sono anche figure storiche come i due fratelli Di Dio, palermitani, entrambi medaglie d’oro alla memoria, caduti nelle valli ossolane, a Megolo e Finero o comandanti partigiani come Pompeo Colajanni “Barbato” e Vincenzo Modica “Petralìa”.


Marco Travaglini