IMI, gli internati militari italiani

IMI, Internati militari italiani (Italienische Militär-Internierten): così furono denominati dai tedeschi i soldati italiani catturati in patria e sui fronti di guerra all'estero nel settembre 1943 dopo la proclamazione dell'armistizio dell’8 settembre. L’esercito italiano, lasciato senza ordini, soprattutto per quanto riguardava l’atteggiamento da tenere verso l’ex alleato tedesco, si dissolse. I nazisti , violando ogni regola e convenzione, non vollero qualificarli «prigionieri di guerra» per sottrarre al controllo e all'assistenza degli organi internazionali previsti dalla convenzione di Ginevra del 1929 le vittime predestinate al «castigo esemplare» che Hitler aveva promesso agli italiani, rei di essere venuti meno al patto di alleanza, che era in realtà un rapporto di soggezione. Fu quella la più grave disfatta politica e militare subita dal nostro Paese in epoca moderna. Seicentomila uomini e forse più: ufficiali, sottufficiali, soldati, medici, cappellani militari, chiusi nei carri ferroviari e trasferiti nei campi della Polonia e della Germania a languire di inedia o a lavorare come schiavi nelle miniere e nelle fabbriche di guerra. A più riprese fu loro offerta la possibilità di arruolarsi con i tedeschi o nelle forze armate della Repubblica di Salò, ma gli oltre seicentomila internati rifiutarono per venti mesi ogni collaborazione con la Germania nazista e la Repubblica Sociale di Mussolini, scegliendo la “via del lager” invece del ritorno a casa: più di quarantamila morirono di fame o di tubercolosi, per sevizie ed esecuzioni sommarie o sotto i bombardamenti. Della drammatica vicenda di quei seicentomila uomini, che scelsero di non abbassare la testa con tanta fermezza e pagando a caro prezzo, a lungo si è taciuto o si è parlato troppo poco. Gli ex Imi hanno atteso per decenni che i giovani potessero conoscere la loro storia , una delle vicende più importanti della Resistenza, di uomini che onorarono la divisa che portavano andando “volontari nei lager” per dare a tutti libertà e democrazia.Il Consiglio regionale del Piemonte, attraverso il Comitato per l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana, ha promosso diverse iniziative per ricordare la loro storia, a partire dal film “Seicentomila no - la resistenza degli Internati militari italiani”, prodotto insieme all´Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza nel 2008. Un lavoro importante che ha ripercorso, attraverso le testimonianze di numerosi protagonisti e immagini d´epoca, tutta la vicenda dei militari italiani catturati dai tedeschi sui vari fronti: il trasporto nei territori tedeschi, la scelta, le condizioni di vita nei campi di internamento , il lavoro coatto, la liberazione e il ritorno in patria. Al film si affiancava un cd – rom multimediale che riproduceva, attraverso schede, documenti e vari materiali visivi, la realtà dell´internamento e del lavoro coatto dei soldati italiani in Germania.Successivamente è stato edito un libro che ha rappresentato la continuazione ideale di quel lavoro di ricerca e divulgazione di una vicenda storica di grande importanza. Nel gennaio del 2013, collaborando con il Museo Diffuso della Resistenza di Torino, il Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale promosse la mostra dei disegni di prigionia di Luigi Carluccio, uno dei pochi esponenti della critica d'arte contemporanea italiana a diventare un punto di riferimento internazionale, tanto da essere chiamato nel 1979 a dirigere il settore arti figurative della Biennale di Venezia. Meno noto era il fatto che dopo l'8 settembre, in quanto tenente di artiglieria alpina, egli subì un lungo periodo di internamento nei campi di prigionia in Germania come Internato Militare Italiano. Lì Carluccio disegnò costantemente, dal 1943 al 1945, con i mezzi di fortuna che si potevano trovare nei campi. Ecco perché, nel 70esimo anniversario dell'8 settembre 1943, e in occasione del Giorno della Memoria,  la mostra dedicata al noto critico d'arte, offrì al pubblico l'occasione di scoprire un aspetto inedito della sua vita di e di approfondire la vicenda degli IMI da sempre poco indagata. Finita la guerra, su questa immane tragedia calò un inesplicabile silenzio. Parve che nella coscienza nazionale fosse avvenuta una sorta di rimozione dell'evento, anche se ben altre furono le motivazioni politiche e sociali che la determinarono. Soltanto l'Associazione Nazionale Ex Internati intraprese un'opera sistematica di ricerca e di raccolta di documenti, concretizzatasi in decine di volumi, a disposizione degli studiosi. Il dato macroscopico che caratterizzò la vicenda dei militari italiani internati nei lager fu il loro massiccio rifiuto di combattere e di collaborare con i tedeschi e con i fascisti. Il No che li trattenne prigionieri in Germania, e che molti pagarono con la vita, fu atto volontario e consapevole. Così come fu un atto volontario di resistenza alla protervia nazista quello dei martiri di Cefalonia , Corfù, Zante dove la guarnigione italiana di stanza nelle isole greche dello Ionio, si oppose al tentativo tedesco di disarmo, combattendo sul campo per vari giorni con pesanti perdite e subendo una rappresaglia disumana e violenta. Furono loro, i soldati della divisione Acqui, i finanzieri, i Carabinieri, gli uomini della Regia Marina tra i primi resistenti al pari di quelli che scelsero la via delle montagne, formando le bande partigiane. E’ in questo contesto che si collocano anche le vicende individuali e collettive dei tanti italiani che, provenienti dal nostro Mezzogiorno, si trovarono in Piemonte dopo l’8 settembre 1943 ad intraprendere la scelta della lotta contro l’oppressione nazifascista per la conquista della libertà e delle democrazia nel nostro paese. Un fatto rilevante che il Consiglio regionale ritenne abbiamo giusto ricordare con ricerche e iniziative ( un libro, un docufilm, un grande convegno e molte iniziative concordate con altre Regioni italiane) per onorare la memoria dei circa 7 mila giovani, in gran parte militari, provenienti dalle regioni del Sud Italia - siciliani, pugliesi, campani, calabresi, sardi e lucani - che parteciparono alle vicende della Resistenza piemontese con ruoli diversi: da quelli di primo rilievo nel comando e nella guida del movimento  fino ai più oscuri e semplici militanti che seppero dar prova di coraggio, dignità e abnegazione. Tutto ciò a testimonianza della prova d’orgoglio e dignità dei militari italiani che seppero riscattare e difendere il tricolore della Patria e del carattere unitario e nazionale della lotta di Liberazione, non a caso definita il “secondo Risorgimento” italiano.


Marco Travaglini