La buona scuola del maestro Manzi

Il ricordo di Alberto Manzi per la mia generazione è rigorosamente in bianco e nero. Era il maestro dell’aula in tv, quello di “Non è mai troppo tardi” che, tra il 1960 e il 1968, insegnò a leggere e scrivere a milioni di italiani. Anch’io, grazie a lui e prima delle elementari, imparai la magia lieve dei segni sulla carta con un pennino che intingevo nella boccetta dell’inchiostro. Quella trasmissione, pensata per contrastare l’analfabetismo, andava in onda nel tardo pomeriggio, prima dell’ora di cena, e la Tv appariva come una scatola magica e misteriosa. Manzi utilizzava un grosso blocco di carta montato su cavalletto sul quale scriveva e disegnava con un carboncino parole e lettere. E si faceva capire benissimo. Il maestro Manzi, del quale si è tornati a parlare qualche anno fa grazie alla fiction a lui dedicata e trasmessa su Rai Uno, era nato a nel rione Borgo di Roma il 3 novembre 1924 da Ettore Manzi, tranviere, e da Rina Mazze, impiegata presso gli uffici annonari del Vaticano. Dopo la guerra e la laurea in biologia iniziò insegnando nel carcere minorile Gabelli di Roma e per vent’anni, ogni estate, impiegò le sue vacanze per viaggiare in America Latina e fare scuola ai contadini dell’Ecuador e del Perù. Apparteneva alla stessa generazione che espresse educatori di straordinaria sensibilità e capacità come Mario Lodi, Danilo Dolci, Gianni Rodari, don Lorenzo Milani, tutti nati negli anni Venti del secolo scorso. Tutti convinti che la didattica non consiste solo nel trasmettere una serie di contenuti e saperi ma offrire una testimonianza personale di etica, valori e cultura. E stimolare una tensione continua alla curiosità e alla ricerca. Alberto Manzi era un educatore che trasmetteva il senso profondo delle cose. Diceva: “siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere”. Nel suo mestiere di insegnante riversava entusiasmo, metodo, volontà di sperimentare e di rimettere continuamente tutto in discussione. Fece scalpore, nel 1981, quando si rifiutò di redigere le appena introdotte schede di valutazione con le quali si sostituiva la pagella. Manzi si rifiutò di redigerle perché non intendeva “bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest’anno, l’abbiamo bollato per i prossimi anni”. Quella disobbedienza gli costò la sospensione dall’insegnamento e dalla paga. L’anno dopo il Ministero della Pubblica Istruzione fece pressione su di lui per convincerlo a scrivere le attese valutazioni. Manzi fece intendere di non avere cambiato opinione ma si mostrò disponibile a redigere una valutazione riepilogativa uguale per tutti tramite un timbro; il giudizio era: “fa quel che può, quel che non può non fa “. Il ministero si mostrò contrario alla valutazione timbrata, al che Manzi ribatté: “Non c’è problema, posso scriverlo anche a penna”. Alberto Manzi scrisse anche diversi libri e da quello più famoso (Orzowei, del 1955) fu tratta l’omonima serie per la Tv dei ragazzi. Nel 1992 la Rai affidò a lui la trasmissione L'italiano per gli extracomunitari, sessanta puntate televisive che andarono in onda su Rai 3 per insegnare la lingua italiana agli immigrati. Nel 1994 accettò di candidarsi e venne eletto sindaco di Pitigliano, un piccolo comune in provincia di Grosseto. Alberto Manzi completò così il cerchio dell’impegno sociale e civile che caratterizzò accanto a quello educativo nel carcere e nelle aule scolastiche, alla radio e alla televisione, e alla produzione letteraria, la sua ricca biografia. Nemmeno l’impegno quotidiano da primo cittadino bloccò la sua capacità e la voglia di analizzare e di progettare, sia per il territorio di Pitigliano, sia per la scuola e i bambini. Fino alla morte che lo colse il 4 dicembre del 1997 a 73 anni. Ma il ricordo che abbiamo di lui resta legato a “Non è mai troppo tardi”, quando una tv “buona maestra” portava la cultura di base nelle case degli italiani, aiutando a sviluppare l’intelligenza con il sapere e un insopprimibile desiderio di libertà.


Marco Travaglini