Le stragi in mare sotto sguardi indifferenti e distratti
Un’altra strage
annunciata. Tutte le autorità europee sapevano da due giorni che nel Canale di
Sicilia c’erano barconi messi in mare dai trafficanti libici. Eppure nessuno ha
inviato navi per soccorrere i migranti in balia del mare grosso. Per la prima
volta da molti anni alcune navi commerciali hanno deciso di unirsi alla Ocean
Viking di Sos Mediterranee nella ricerca dei dispersi. Ma i mercantili non sono
stati coordinati da nessuna delle centrali di soccorso, a causa del solito
scaricabarile tra Tripoli, La Valletta e Roma. Nell’area sono transitati anche
velivoli di Frontex, ma nessun messaggio di allerta è stato diramato e la
cosiddetta Guardia costiera libica, dopo essere intervenuta per intercettare un
barcone con un centinaio di persone, non ha inviato nessuna delle motovedette
di cui dispone a pattugliare l’area. Le autorità dell’UE e Frontex sapevano
della situazione di emergenza, ma hanno negato il soccorso. La denuncia della
portavoce dell’Oim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli, è
durissima: “Gli Stati si sono opposti e si sono rifiutati di agire per salvare
la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso
per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa
l’eredità dell’Europa?”.
Negli ultimi tempi, a fronte di una diminuzione rispetto agli anni precedenti
del numero totale di migranti che approdano sulle coste europee, il numero dei
morti è aumentato. Centinaia di donne, uomini e bambini muoiono affogati nel
tentativo di fuggire da conflitti, violenza, malattie, sete e fame. È
incredibile ritrovarsi a morire in mare per sfuggire alla siccità che affligge
intere regioni dell’Africa. Siamo di fronte ad una vera e propria bancarotta
dell’umanità, al prodotto di quel virus che nasce dalla somma tra il sovranismo
e l’indifferenza egoistica. Sembra di rivedere, come fotogrammi di un passato
che ritorna, ciò che accadde nei Balcani durante le guerre della prima metà
degli anni ’90, quando si consumava l’orrore sotto gli sguardi distratti,
lontani, indifferenti e bui dell’Occidente e del “mondo”. Eppure non dovrebbe
essere consentito voltare la testa da un’altra parte o indietreggiare sul tema
decisivo del valore di ogni essere umano. Non dovrebbe essere accettabile che
si continui ad alzare fili spinati e muri. Va detto a chi ha responsabilità: in
fondo il cuore della politica è avere cuore per gli altri.
Occorrono i ponti, non i muri. Lo dicono in tanti e lo dice il Pontefice che
porta questo nome (l’etimologia stessa della parola pontifex – pontem facere –
significa “costruttore di ponti” ). I ponti sono slanciati, leggeri, ci vengono
incontro con un balzo dai due lati. I muri sono pesanti, tirano verso il basso.
I ponti invitano a passare e a incontrarsi. I muri serrano e segregano.
Inframuraria, si chiama nel gergo tecnico l esistenza nelle galere. I ponti
sono il bersaglio prediletto di chi è egoista, invidioso, separatista. Sono il
bersaglio di chi vuol dividere perché sui ponti ci sono persone che arrivano di
qua, persone che vengono di là, e si incontrano e si mescolano. Quanto accadde
al ponte di Mostar in Bosnia dovrebbe significarci qualcosa, no? Ieri Papa
Francesco non ha avuto esitazioni ed ha affermato che dinanzi alle morti nel
Mediterraneo “è il momento della vergogna”, ricordando che "per due giorni
interi quelle persone hanno implorato invano aiuto, un aiuto che non è
arrivato”.
Ci sono poi dei momenti estremi – o sei di qua o sei di là – in cui perfino i
ponti diventano il simbolo di una rottura, di un punto di non ritorno. Nei
gironi scorsi, ricordando la Resistenza, sarà capitato di sentire ancora una
volta una delle canzoni che la celebrarono: “Avevamo
vent’anni e oltre il ponte, oltre il ponte ch’è in mano nemica, vedevamo
l’altra riva, la vita, tutto il bene del mondo oltre il ponte..”.
Il testo era di Italo Calvino. E raccontava della scelta che impose la lotta
partigiana. Anche oggi c’è chi resiste e cerca libertà, dignità, giustizia. E
anche un briciolo di futuro e felicità. Per questo non si può tacere e si deve
contrastare chi costruisce i muri! Soltanto i ponti servono in un mondo e in
una Europa che deve accogliere e non respingere chi per scampare a guerre e
miserie rischia il viaggio della speranza e troppo spesso trova la morte in
mare e l’offesa in terraferma. Il rispetto non è un valore negoziabile e va
riconosciuto anche a coloro che lavorano per un salario da fame nelle campagne
a raccogliere frutta e verdura, spaccandosi la schiena sotto il sole o fanno
altre attività che gli italiani e altri europei rifiutano. Tacere equivale ad
abbassare la testa, volgendo di sbieco lo sguardo altrove. Resistere e
contrastare l’indifferenza e i rigurgiti del razzismo è un dovere civile. E
questo vale anche per il presidente del Consiglio Mario Draghi che ieri, nel
giorno della Liberazione, ha ricordato che durante la Resistenza “non tutti gli
italiani furono brava gente”. Ed oggi?
Marco Travaglini