Lido Riba, antifascista occitano che amava la montagna

Con la scomparsa di Lido Riba, storico dirigente della sinistra e dell’Uncem piemontese, le genti della montagna da oggi sono più sole. E anche gli antifascisti, ricordando il suo impegno negli anni in cui ricoprì la carica di presidente del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte. Riba è stato uno dei protagonisti della vita politica e sociale piemontese dell’ultimo mezzo secolo. Aveva 78 anni ed era nato a Caraglio, in provincia di Cuneo, il 31 maggio del 1944. Alla frequentazione del mondo rurale e delle terre alte ha dedicato gran parte del suo impegno per valorizzarne le risorse e la cultura. La montagna per Lido Riba non rappresentava solo il paesaggio agreste degli alpeggi e dei boschi, dei borghi abbandonati dopo l’esodo, del grumo di fatiche e lavoro per creare le condizioni minime di una economia magari frugale, ma dignitosamente orgogliosa che ha segnato la storia del “mondo dei vinti”. Dal suo punto di vista come uomo politico e amministratore pubblico, per lunghissimo tempo tenace leader piemontese dell’Uncem (l’Unione dei comuni e delle comunità montane), la montagna è sempre stata una risorsa viva, capace di offrire occasioni di sviluppo socio-economico e una nuova coscienza del territorio e dell’ambiente che conserva. Senza mai scordare il contributo che le nostre montagne diedero alla lotta di Liberazione, offrendo rifugio alle brigate partigiane che da quelle valli iniziarono a costruire il futuro di libertà, conducendo una dura battaglia per venti mesi fino all’aprile del 1945. L’impegno nelle istituzioni di Riba lo vide protagonista nei consigli comunali di Caraglio, Pradleves e Ostana, alla comunità montana della valle Grana, alla provincia di Cuneo e in Consiglio regionale dove, eletto per la prima volta nel 1990, è stato tra i protagonisti di tre legislature, vice Presidente dell’assemblea di palazzo Lascaris e assessore all’agricoltura. Con lui ho condiviso moltissime iniziative, percorrendo in lungo e in largo il Piemonte, dando vita al primo gruppo degli amici della montagna in Consiglio regionale, collaborando alle inziative legate alla memoria. Tra ricordi personali e comuni memorie, incontri e viaggi, resoconti di vicende che ci hanno visto protagonisti,  resta nitida e forte la sua idea di una politica generosa, alimentata da passioni vere, dove occorreva ( e occorrerebbe oggi, a maggior ragione)  studiare e documentarsi, vivere la realtà dei paesi e delle persone per capire cosa è giusto fare e cosa non va fatto. Il  suo “lungo viaggio”, che raccontò in un accorato libro di memorie, lo vide protagonista nella vita della scuola cuneese, sindacalista del mondo contadino, militante e dirigente del Partito comunista italiano in quella provincia “granda” tradizionalmente feudo democristiano, uomo coerente con i suoi valori progressisti nelle successive evoluzioni politiche. L’eredità che lascia è un patrimonio di inestinguibili intuizioni e analisi, battaglie e conquiste condotte con la passione di chi pensava che rispettare le tradizioni significa custodirne il fuoco, non adorarne le ceneri. Questo occitano orgoglioso delle sue radici ha saputo mostrare nel concreto d’aver introiettato la lezione di saggio realismo che si trova alla base più sincera della cultura contadina. Quella cultura, per intenderci, di chi è cresciuto, come cantava Guccini, “a castagne ed erba spagna”. Lido, rappresentando al meglio nell’Uncem e altrove le vite “in salita” dei montanari, era consapevole di dover coniugarne aspettative e speranze al futuro e non al passato. Tenere alto quest’impegno sarà il riconoscimento più importante alla  memoria di un uomo che ha speso decenni della propria vita a immaginare e proporre soluzioni per i territori montani piemontesi pensando a una politica che non fosse solo redistribuzione di risorse, alzando la spesa pubblica, ma un progetto concreto in grado di colmare sperequazioni territoriali, recuperare vecchi mestieri e inventarne di nuovi, investendo nell’economia verde, nel legno e nell’acqua, e in un nuovo welfare di comunità.

Marco Travaglini