Materada, la malinconia della frontiera e il dramma dell’Istria
In “Materada”,scritto nel 1960 da Fulvio Tomizza, straordinario narratore di frontiera, si racconta la storia dell’esodo istriano molto meglio di quanto possa fare un qualsiasi trattato storiografico o sociologico.
Parole e storie nella nelle quali s’incastrano come tessere di un mosaico un doloroso grumo di frasi, fatti e vita. Un romanzo crudo, dove la narrazione è sofferta e il ricordo della propria terra (Tomizza vi era nato nel 1935) riemerge con forza. Claudio Magris, a proposito di Materada, ha scritto: “Quando uscì nel 1960 “Materada” — il primo e forse miglior romanzo dell’allora giovanissimo e sconosciuto Fulvio Tomizza — arricchì di una nuova e forte pagina la poesia della frontiera, delle sue lacerazioni e della sua unità. Il mondo da cui nasceva il libro — l’Istria nel momento dell’ultimo esodo, nel 1954 — era un mondo realmente straziato dai rancori, torti e vendette sanguinose fra italiani e slavi e Tomizza l’aveva vissuto e patito”. Materada è un piccolo borgo vicino alla più grande Umago, in una terra di frontiera, quella dell’Istria, che è punto d’incontro di tante etnie e nazionalità (Italiani, Slavi e Croati), nei secoli assoggettate alla Repubblica della “Serenissima” Venezia, all’Impero austro-ungarico, all’Italia e infine inglobate forzosamente nell’allora nascente Jugoslavia. Terra aspra, ricca di contrasti che si riflettono anche nei suoi abitanti, spesso diffidenti in ragione della precarietà degli stessi luoghi di vita. Al termine dell’ultima guerra mondiale, dopo lunghe trattative diplomatiche, venne definito un nuovo assetto territoriale che assegnò alla Jugoslavia gran parte della Venezia Giulia (in pratica quasi tutta l’Istria e le terre ad est di Gorizia). Il trattato di Parigi del 1947 ratificò questo passaggio di Istria e Dalmazia alla Jugoslavia, scatenando l’esodo della stragrande maggioranza della popolazione italiana (circa 300 mila persone) che abbandonò tutto, case, averi e terra, cercando rifugio in Italia o emigrando oltreoceano. Con i trattati del 1954 la “zona B” dell’Istria, in cui Materada era inclusa, venne assegnata definitivamente alla Jugoslavia. E’ in questo lacerante scenario storico che Tomizza, allora venticinquenne, ambientò ”Materada”. L’autore, che visse in prima persona quelle drammatiche vicende, scrisse un romanzo potente e corale, per quanto incentrato sulla famiglia Kozlovich, in cui vedeva riflessa anche la propria esperienza personale.Un libro in cui speranze, delusioni e rassegnazioni si avvicendano, emergono, si assopiscono, ritornano. E’ palpabile lo stato d’animo degli italiani, l’emarginazione nei loro confronti operata dal regime comunista di Tito, l’intreccio di storie di tanta povera gente la cui unica e ultima scelta era di restare, perdendo la propria identità nazionale, o andarsene verso l’ignoto. Da quasi tre lustri, il 10 febbraio, si celebra il Giorno del Ricordo (istituito con la legge del 30 marzo 2004) per conservare e rinnovare “la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. E’ anche grazie a Fulvio Tomizza — che è morto a 64 anni, nel 1999 — e al suo “Materada” se quella storia non sarà mai dimenticata.
Marco Travaglini