Sarajevo 1993, sopravvivere all’assedio

Una copia ormai logora la vidi un giorno in una libreria nei pressi della Baščaršija, al numero 8 di Vladislava Skarica a Sarajevo ma, stupidamente, non la comprai. Gli ottanta marchi del prezzo (quasi quaranta euro) mi avevano frenato. Che errore! Ora trovarla non è solo difficile ma quasi impossibile. La Sarajevo Survival Guide, scritta tra l’aprile del 1992 e la primavera del 1993 dal collettivo di FAMA, composto da Miroslav Prstojević, Željko Puljić, Maja Razović, Aleksandra Wagner e Bora Ćosić, è diventata un oggetto di culto. Su internet si trova usata a prezzi molto alti e raramente nuova, a cifre esorbitanti. Questo libro di novantacinque  pagine in formato quasi tascabile è una guida per la sopravvivenza a Sarajevo durante la guerra. Edita nel 1993 dagli stessi autori in serbo-croato, venne distribuita l’anno dopo, tradotta in inglese, dalla casa editrice Workman Publishing di New York. Un libro originalissimo, intelligente, impregnato da quell’amara ironia balcanica che descrive e cerca di far comprendere come fosse possibile organizzarsi la vita durante l’assedio più lungo della storia moderna. Un viaggio nella quotidianità di una città senza trasporti, senza acqua ed elettricità, senza cibo e telefoni, con i negozi dalle serrande abbassate e dagli scaffali tristemente vuoti, dove le informazioni erano scarsissime. Uno scenario duro, estremo, dov’era quasi impossibile vivere, sospesi come si era tra mille stenti e pericoli che obbligavano a inventarsi ogni stratagemma utile per tirare avanti. Attorno a Sarajevo s’era stretta una cintura militare con duecentosei carri armati, centoventi mortai, un numero pazzesco di cannoni antiaerei e di armi d’ogni tipo. Così, sotto il fuoco costante dei mortai e dei cecchini, in condizioni di lavoro tremende, i ragazzi di FAMA iniziarono la raccolta, insieme ad artisti e intellettuali sarajevesi, di tutte le informazioni utili per sopravvivere. Ovviamente la guida rappresentò un progetto estremo di denuncia e documentazione ma offriva davvero indicazioni pratiche su dove dormire, come riscaldarsi e depurare l’acqua, prepararsi dei pasti o bevande con un vero e proprio ricettario di guerra, informazioni sui mezzi di trasporto utilizzabili e i possibili itinerari per muoversi senza rischiare un proiettile in testa. “Se decidi di andare a Sarajevo, sii preparato e maturo. Potrebbe rivelarsi la decisione più importante che tu abbia mai preso nella vita, si legge. E via con i consigli utili: Porta: buone scarpe che ti facciano camminare a lungo e correre veloce, pantaloni con molte tasche, pillole per l’acqua, i marchi tedeschi (piccole taglie), batterie, fiammiferi, vasetto con vitamine, cibo in scatola, bevande e sigarette. Tutto quello che porterai sarà consumato o scambiato per informazioni utili. Dovrai sapere quando saltare un pasto, come trasformare i problemi in scherzo ed essere rilassato nei momenti impossibili. Imparare a non mostrare emozioni e non essere pignolo su nulla. Sii pronto a dormire in scantinati, desideroso di camminare e lavorare circondato da pericoli. Rinunciare a tutte le tue abitudini precedenti. Utilizzare il telefono, quando funziona, ridere quando non funziona. Riderai un sacco. Disprezza, non odiare. La filosofia di questa guida Routard in versione di guerra, è racchiusa in quelle parole. Non rinunciare a se stessi, non abbruttirsi, non cedere all’odio per non rischiare di diventare come gli assedianti. Un insieme intriso da un potente e dissacrante umorismo nero mentre si raccontano le bellezze di una città. Il libro è anche un messaggio per la nuova civiltà che stava per nascere, quella del 21° secolo, affrontando in presa diretta il nodo della sopravvivenza in condizioni urbane estreme. Così, pagina dopo pagina, si veniva accompagnati attraverso una città che si arrangiava, sperimentando forme di resistenza e di dignità che mettevano alla prova i nervi, stimolando la creatività, necessariamente cinica, per vincere il terrore quotidiano. La mappa di sopravvivenza venne realizzata girando per le strade, parlando con le persone, vivendone gli stessi disagi e gli stessi lutti. Il risultato ottenuto, in un contesto drammatico, è straordinario. La Sarajevo Survival Guide testimonia come, in circostanze tremende, dove l’esistenza delle persone viene resa impossibile, la vita e la cultura sopravvivono, alzano la testa, non si arrendono. Nella Sarajevo assediata vennero pubblicati giornali, andarono in onda trasmissioni radiofoniche, esistevano luoghi (come le scale dei palazzi o gli angoli riparati dai muri) dove ritrovarsi a giocare a carte, scacchi o a biliardino, gli appartamenti furono adibiti a scuole, le donne si specializzarono in ricette culinarie fatte di nulla, coltivando verdure negli orti di guerra in casa o in qualche fazzoletto di terra tra un palazzo e l’altro. Alcuni esempi? Proviamo a sintetizzarli per argomenti. Partiamo dalle bevande: “L’acqua e il the sono le bevande più consumate in città. Un tempo l’acqua di Sarajevo era nota per la sua purezza. Oggi, prima di essere bevuta, va bollita e mischiata con una pillola. Ne esistono di due tipi: pillola bianca per due litri di acqua, pillola verde per cinque litri di acqua. I problemi nascono quando si possiede una pillola verde e meno di due litri d’acqua. Cosa ci sia dentro le pillole è un segreto che conoscono, forse, solo i funzionari dell’Umprofor, la forza di protezione dell’Onu che detiene il monopolio delle pillole. Alcol, succhi di frutta e latte in polvere sono difficili da trovare e molto costosi e bisogna cercarli al mercato nero”. C’è anche chi, ironicamente, si lamentava: “Ci hanno mandato latte in polvere, a volte polvere di caffè, polvere di vitamina, e sono riusciti a ottenere anche la polvere d’uovo. Perché mai non hanno inventato la rakija (la grappa) in polvere?“. Si veniva informati che, al quarto piano di un palazzo viveva una donna con la sua mucca. Lei all’interno dell’appartamento abbandonato, la mucca sul balcone. O viceversa. Un altro esempio è quello della cultura. Negli scantinati venivano allestiti spettacoli teatrali. I concerti non mancavano mai e non era difficile averne notizia. Tutte le vetrine delle librerie erano andate distrutte e il numero dei romanzi e dei libri di intrattenimento era andato rapidamente diminuendo, con un crescente interesse per i libri stranieri e per i dizionari. La fame di cultura provocava crampi come quella vera e tutti erano interessati alle lingue straniere. La guida segnalava anche i souvenir: “il più gettonato è la scheggia di mortaio. Si possono trovare ovunque: nelle strade, nelle piazze, sui balconi, all’interno delle abitazioni. I proiettili hanno un prezzo inferiore. Se non si hanno soldi si possono barattare con un buono alimentare”. Anche i regali mostravano una scala di valori radicalmente diversa: "una bottiglia di acqua pulita, una candela, un pezzo di sapone, shampoo, aglio, cipolla, un secchio di carbone, qualche tronco di legno. Le scarpe di pelle di serpente sono eccellenti per correre da un incrocio all’altro ed evitare i colpi dei cecchini". Per non parlare del riscaldamento durante i rigidi inverni di guerra a Sarajevo. Il clima in città è di montagna e la temperatura arriva fino a venticinque gradi sotto zero. Per dormire s’indossava qualunque indumento, calze spesse e berretti di lana. Gli alberi dei viali vennero tagliati e bruciati e dopo di loro i mobili e, qualche volta ma non sempre, i libri. Nonostante i disagi, c’era parecchia ironia in giro. Così si diceva: “Lo scorso inverno ha dimostrato che i libri di Ilich Vladimir Lenin bruciano molto bene, dimostrando il calore delle idee del socialismo”. Trent’anni fa, nel rigido inverno del 1993, oltre a non esserci elettricità in quasi tutta la città, era un’impresa trovare gas per il riscaldamento. Il problema era che se il gas veniva aperto quando nessuno se lo aspettava, arrivando anche a esplodere in alcune case e appartamenti, provocando gravi ustioni agli abitanti. Un giorno, in un ospedale di Sarajevo, un infermiere stava congelando alla reception sperando che il gas venisse aperto per potersi riscaldare. Quando vide un gruppo di persone che entravano in ospedale sporche di fuliggine e con i vestiti bruciacchiati, esclamò con gioia: "E’ arrivato il gas!!". Pura ironia balcanica in tempo di guerra.

 

Marco Travaglini