Torino, marzo 1944. L’arresto del Comitato militare del CLN piemontese

Nel marzo del 1944, dopo i grandi scioperi operai contro il regime, la repressione nazifascista fu durissima e la resistenza piemontese subì un durissimo colpo con la cattura di quasi tutti i componenti del Comitato Regionale Militare Piemontese. Il Comitato (Cmrp) era stato costituito nella clandestinità a Torino nell'ottobre del 1943, inizialmente come organismo tecnico-consultivo dell'organismo di direzione politica della resistenza piemontese (il Comitato di liberazione nazionale regionale piemontese) con il compito di organizzare e coordinare l'azione delle bande partigiane già formatesi nelle vallate della regione. Era composto dai rappresentanti dei partiti antifascisti: l'operaio Eusebio Giambone per il Partito comunista, Leo De Benedetti per il Partito d'azione (sostituito due mesi dopo dal professor Paolo Braccini), l'avvocato Renato Martorelli per il Partito socialista (sostituito poi dal medico Corrado Bonfantini), l'avvocato Valdo Fusi per la Democrazia cristiana, l'avvocato Cornelio Brosio per il Partito liberale. Accanto ad essi un gruppo di ufficiali effettivi: il colonnello Giuseppe Ratti, il capitano Franco Balbis, i maggiori Lorenzo Pezzetti e Ferdinando Creonti, i generali Giuseppe Perotti e Raffaello Operti, il tenente di complemento Silvio Geuna. Dalla fine del gennaio 1944 Perotti divenne il coordinatore del Comitato. Nel mese di marzo, con l'intensificarsi della azione antipartigiana da parte di tedeschi e fascisti, il Comitato subì numerose perdite e arresti tra i suoi membri. Già il 4 febbraio Pezzetti fu ucciso dai fascisti in via Camerana; Errico Giachino, organizzatore delle squadre cittadine per il partito socialista, fu arrestato il 14 marzo; il 27 la stessa sorte toccò a Quinto Bevilacqua, segretario della federazione del Psi clandestino, e a Giulio Biglieri, azionista. Il 29 furono catturati due ispettori del Comitato, i tenenti colonnello Giuseppe Giraudo e Gustavo Leporati, insieme al tenente Massimo Montano. La cattura del nuovo rappresentante del Psi Pietro Carlando consentì alla polizia fascista di acquisire numerose informazioni, attraverso il sequestro di documenti e di arrestare il 31 marzo nella sacrestia del Duomo in piazza San Giovanni l'intero Comitato: Perotti, Geuna, Giambone, Fusi, Braccini, Balbis e Brosio, vennero prima condotti in Questura (con una quarantina di cittadini rastrellati nelle vie adiacenti), interrogati e a mezzanotte del 1° aprile rinchiusi alle Carceri Nuove. Il processo del Tribunale speciale contro di loro e contro gli arrestati nei giorni precedenti venne istruito in gran fretta. Mussolini in persona aveva ordinato di chiudere rapidamente e in modo esemplare la vicenda, per dimostrare all'alleato tedesco l'efficienza repressiva della Repubblica sociale. Il 2 aprile, domenica delle Palme, si tenne la prima udienza al Palazzo di Giustizia, nell'aula della Corte d'assise ordinaria, alla presenza dei massimi vertici fascisti, tra cui il ministro dell'Interno Buffarini Guidi, il prefetto Zerbino e il federale Solaro. Nonostante i tentativi di trattativa messi immediatamente in atto dal Cln, la mattina del 3 aprile, dopo una seconda udienza, il tribunale pronunciò il suo verdetto: la condanna a morte per Balbis, Bevilacqua, Biglieri, Braccini, Giachino, Giambone, Montano e Perotti; la pena dell’ergastolo per Carlando, Geuna, Giraudo e Leporati; due anni di carcere a Brosio e l’assoluzione per insufficienza di prove per Chignoli e Fusi. Verso le sei di mercoledì 5 aprile gli otto condannati furono condotti al poligono e lì vennero fucilati, affrontando il plotone d'esecuzione con grande dignità e coraggio, come ricordò padre Carlo Masera, il missionario della Consolata che li assisté sino alla morte. Poche ore prima di morire Eusebio Giambone, alla cui memoria è dedicata la nostra sezione dell’Anpi, scrisse alla moglie: "Fra poche ore io certamente non sarò più, ma sta pur certa che sarò calmo e tranquillo di fronte al plotone di esecuzione come lo sono attualmente, (...)come lo fui alla lettura della sentenza, perché sapevo già all'inizio di questo simulacro di processo che la conclusione sarebbe stata la condanna a morte. Sono così tranquilli coloro che ci hanno condannati? Certamente no! Essi credono con le nostre condanne di arrestare il corso della storia. Si sbagliano! Nulla arresterà il trionfo del nostro Ideale, essi pensano forse di arrestare la schiera di innumerevoli combattenti della Libertà con il terrore? Essi si sbagliano!". Una prova di lucido coraggio e fortissima tensione ideale.

Marco Travaglini