Vecchia e nuova Resistenza

E fummo vivi, insorti con il taglio ridente della bocca, pieni gli occhi, piena la mano nel suo pugno: il cuore d’improvviso ci apparve in mezzo al petto”. In questi versi che un grande poeta, Alfonso Gatto, dedicò ai partigiani si colgono l’orgoglio e la consapevolezza, la generosità e il coraggio di una scelta, a volte dolorosa, tragica, definitiva. Nella sua “Per i morti della Resistenza” un altro grande poeta, Giuseppe Ungaretti, scriveva: “Qui vivono per sempre gli occhi che furono chiusi alla luce perché tutti li avessero aperti per sempre alla luce”. Occhi da tenere quanto mai aperti oggi, in un’epoca dove a volte sembrano prendere spazio la mancanza di memoria e l’assenza di valori, accompagnate da un subdolo desiderio di rimozione per livellare la storia, mostrando scarso rispetto per le conquiste e i progetti di allora, per chi combatté per l’Italia libera in quei venti mesi che cambiarono la nostra storia. Come si può contrastare questo Sentimento che alligna in parte della società fino ai vertici di alcune delle più alte cariche dello Stato? Respingendo indifferenza, rassegnazione e distrazione, abbandonando il carattere celebrativo che troppe volte ha contraddistinto le nostre manifestazioni sulla Resistenza, per cercare di far comprendere ciò che avvenne in Italia tra il ’43 e il ’45, cogliendo il senso profondo della Resistenza. In quei venti mesi, dalla formazione delle prime bande partigiane alla primavera del ’45, si realizzò una delle più significative e importanti stagioni della storia d’Italia; una vicenda che colpisce per la sua complessità e vastità perché la lotta armata si coniugò con la resistenza di un popolo senza armi che – per la prima volta nella storia – si trovò a reagire alla dittatura fascista e all’ occupazione tedesca, unendo persone di varie ideologie e fedi, professioni e mestieri; uomini e donne animati dalla stessa ansia di libertà e di democrazia, per liberare il Paese dalla dittatura e dalla guerra, preparando un futuro di democrazia. C’è una costante in tutto ciò che è stata la Resistenza: il coraggio e la responsabilità delle scelte, accettando rischi tanto gravi quanto facilmente prevedibili. Fu coraggio quello di chi intraprese e condusse la resistenza armata, con la ferma volontà di ottenere la liberazione del Paese, a qualunque costo ed a qualunque prezzo, conoscendo i propri limiti di preparazione e di esperienza militare e l’enorme disparità di mezzi e uomini rispetto ad un esercito attrezzato e organizzato come quello tedesco. Fu coraggio quello di chi scioperò nel ‘43, consapevole dei gravi rischi cui andava incontro, come lo fu quello dei 12 professori universitari ( su 1250 ) che dissero di no a Mussolini, rifiutando il giuramento di fedeltà al fascismo, perdendo la cattedra. Fu coraggio quello dei giovani renitenti alla leva, che, al richiamo della Repubblica di Salò, si trasformarono in sbandati per sottrarsi all’arresto e, molti, finirono poi per aderire alle bande partigiane. Fu coraggio quello dei circa 600.000 militari che, dopo l’8 settembre, rifiutarono di aderire all’invito dei tedeschi e dei repubblichini a collaborare e furono trattati non come prigionieri di guerra, ma come schiavi; parecchi finirono nei lager, e molti non fecero ritorno. Fu coraggio quello del complesso di azioni e comportamenti della “resistenza non armata”, che comprende tutti coloro che rifiutarono la guerra e contribuirono alla liberazione nei mille modi che la storia ci ricorda: dalle donne che, non solo combatterono con le armi, ma affrontarono il pericolosissimo mestiere di staffetta, soccorrendo prigionieri e feriti e misero in atto una rete solidale che andava al di là di qualunque esperienza del passato, ai contadini e montanari che spesso aiutarono i partigiani ben sapendo che se li avessero scoperti, tedeschi e fascisti, li avrebbero fucilati, incendiando le loro case, come spesso avvenne; fino ai sacerdoti che cercarono di difendere le popolazioni dalle violenze e brutalità, pagando anche con la loro vita. Questa è la Resistenza, così ricca di implicazioni, di significati, di valori attualissimi nei tempi, difficili e duri, che stiamo vivendo, attraverso una crisi drammatica che riguarda l’economia, la vita sociale, la politica, la democrazia e la convivenza pacifica scossa dalla guerra. Se vogliamo davvero respingere indifferenza, rassegnazione e  contrapporvi la volontà di riscatto, dobbiamo tornare ai fondamentali della Resistenza, riaffermandone il senso della storia, riappropriandoci della voglia di sostenere idee libere e non condizionate. Con la Resistenza maturarono i principi che oggi sono espressi in quel documento di altissima civiltà che è la nostra Costituzione e che - ogni giorno, tutti i giorni - ci ricorda l’attualità della sua lezione di responsabilità civile. Essere cittadini liberi significa non essere mai indifferenti alle ingiustizie e alle prepotenze. Significa essere sempre capaci di un pensiero critico, pronti a farci carico delle sorti collettive della nazione. La Costituzione repubblicana ci ricorda che l’Italia è costituita e fondata su principi, dove si parte dai diritti ai quali corrispondono i doveri. Oggi i nuovi patrioti sono coloro che insegnano agli altri ad elaborare un pensiero critico, autonomo e indipendente, ricordando che la conoscenza non avviene per gentile concessione da parte di qualcuno o per sentito dire, ma va ricercata, scoperta, capita, elaborata. E costa fatica. Mi domando se sapremo essere all’altezza dei valori ereditati da allora, se sapremo assumerci responsabilità collettive, come seppero fare quei ragazzi di ottant’anni fa; se avremo il coraggio di esercitare una cittadinanza attiva nel solco di quei valori che ci insegnarono, attraverso la Resistenza, il principio della responsabilità dal basso, dell’emancipazione sociale e civile, il desiderio di libertà e di regole democratiche. Quel moto di ribellione consentì agli italiani di non essere più sudditi passivi di un potere assoluto ma cittadini capaci di esercitare una sovranità popolare. Resistenza è anche accoglienza, ricordandoci chi siamo cioè un popolo che ha avuto milioni di migranti e che non può restare indifferente di fronte alle tragedie del Mediterraneo dove tanti esseri umani disperati hanno trovato la morte su quelle rotte trasformate in tombe d’acqua mentre cercavano di fuggire da guerre, violenze, fame e miserie. La Resistenza ci ricorda chi in quei terribili anni non ha guardato alla razza, alla religione e al colore politico, ma ha sempre dato accoglienza e rifugio a chi era braccato. Oggi chi ha paura di accogliere teme che gli possano togliere qualcosa in tema di benessere, sicurezza, lavoro. Ma non è accettabile un mondo nel quale le azioni non siano guidate da alcun principio, se non l’arroccamento e la difesa della piccola porzione di benessere che ci è toccata in sorte. In un mondo in cui nessuno tende la mano in aiuto agli altri, prima o poi saranno costoro a prendersi ciò di cui hanno disperato bisogno. A liberarsi, appunto, dalla necessità e dall’indigenza. Ecco perché servono i moderni resistenti. I partigiani di oggi sono coloro che accolgono e tendono la mano, che rivendicano la dignità di un lavoro, che pensano che l’ambiente vada tutelato per tutte e tutti, che svolgono onestamente e con spirito civico un incarico pubblico. Che rispettano una Costituzione dove c’è dentro tutto: la storia e il dolore, le sciagure e le gioie di un popolo, al punto che ,come ricordava Calamandrei - dietro i suoi articoli si sentono voci lontane. Quando si legge, all’art.11, che l’Italia ripudia la guerra, parla la voce di Mazzini; quando si legge, all’art.8, che tutte le confessioni religiose sono libere davanti alla legge, c’è il pensiero di Cavour. Quando c’è scritto che la Repubblica è una e indivisibile, all’art.5, s’intuisce la lezione di Cattaneo. E all’art.27, “non è ammessa la pena di morte”, equivale alla lezione del Beccarla. O di Garibaldi quando, alll’art.52, a proposito delle forze armate, c’è scritto «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», alludendo all’esercito di popolo. La sintesi della Costituzione è che l'Italia è una Repubblica, res publica, di tutti e non di qualcuno. L'Italia è democratica, demos è il popolo, dunque è il popolo a fare democrazia. E’ tempo di dare vita a una nuova Resistenza, dove ognuno può contribuire per quel che può dare e fare, affinché prevalga una nuova coscienza civile. E’ tempo di riprendere il cammino, spesso in direzione ostinata e contraria, come diceva De Andrè e ci ricordava Don Gallo. Tenendo ben presente il testo di Partigia, una delle più belle poesie di Primo Levi: “Dove siete, partigia di tutte le valli,Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse? Molti dormono in tombe decorose, quelli che restano hanno i capelli bianchi e raccontano ai figli dei figli come, al tempo remoto delle certezze, hanno rotto l'assedio dei tedeschi là dove adesso sale la seggiovia. Alcuni comprano e vendono terreni, altri rosicchiano la pensione dell'Inps o si raggrinzano negli enti locali. In piedi, vecchi: per noi non c'è congedo. Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna, lenti, ansanti, con le ginocchia legate, con molti inverni nel filo della schiena. Il pendio del sentiero ci sarà duro, ci sarà duro il giaciglio, duro il pane. Ci guarderemo senza riconoscerci, diffidenti l'uno dell'altro, queruli, ombrosi. Come allora, staremo di sentinella perché nell'alba non ci sorprenda il nemico. Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno, spaccato ognuno dalla sua propria frontiera, la mano destra nemica della sinistra. In piedi, vecchi, nemici di voi stessi: la nostra guerra non è mai finita”.


Marco Travaglini