William Jervis, più noto come Guglielmo o come Willy, ingegnere olivettiano e antifascista, alpinista e partigiano era nato a Napoli l’ultimo giorno del 1901
di Marco Travaglini
Ivrea gli ha dedicato una delle strade principali dove si affaccia il cuore del sogno industriale degli Olivetti, con la “fabbrica di mattoni rossi” di Camillo e la “fabbrica di vetro”di Adriano nella quale si riflettono i profili delle montagne che circondano la città dalle “rosse torri”, proprio la via che, nel , il grande architetto e urbanista Le Corbusier non esitò a definire “la strada più bella del mondo”.
Guglielmo Jervis con i figliWilliam Jervis, più noto come Guglielmo o come Willy, ingegnere olivettiano e antifascista, alpinista e partigiano era nato a Napoli l’ultimo giorno del 1901. Venne al mondo nella città partenopea per puro caso. Come ricorda un bell’articolo che gli dedicò L’Ora del Pellice “il padre Thomas, un milanese di origini inglesi, ingegnere e dirigente aziendale” si trovava a Napoli per ragioni di lavoro e si ruppe una gamba.
Il rifugio Guglielmo Jervis a Ceresole Reale
“La moglie Bianca Quattrini lo raggiunge per sostenerlo, ma il travaglio la sorprende nella città partenopea, dove il 31 dicembre 1901 dà alla luce il piccolo Willy. I legami della famiglia Jervis con la Val Pellice sono stretti. Il nonno di Willy — un importante geologo britannico che come lui si chiamava William Paget Jervis — aveva sposato una donna valdese di Torre Pellice, Susanna Laura Monastier. Anche Thomas Jervis, il padre di Willy, pur vivendo abitualmente a Milano, era frequentemente in visita alle Valli valdesi”.
Ivrea, via Jervis. La fabbrica di mattoni rossi, primo stabilimento dell’Olivetti
Guglielmo Jervis studiò a Torino, Firenze e al Politecnico di Milano dove si laureò in ingegneria nel 1925. Terminato il servizio militare fu assunto alla Frigidaire, azienda milanese di frigoriferi dove lavorò per sei anni. Attivo nel movimento giovanile valdese, Jervis collaborò alla redazione della rivistaGioventù Cristianae nel 1932 sposò una ragazza fiorentina conosciuta a Torre Pellice, anch’ella valdese, Lucilla Rochat.
La nuova ICO in via Jervis a Ivrea. Foto Archivio Storico Olivetti
Nel 1934 il giovane ingegnere passò alle dipendenze della Olivetti. Dopo un breve incarico come direttore della filiale di Bologna, Adriano Olivetti lo chiamò nella sede di Ivrea, affidandogli il compito di pianificare e coordinare la formazione professionale degli operai meccanici della prestigiosa fabbrica di macchine per scrivere.
Monumento in memoria di Willy Jervis e dei suoi compagni
Persona intelligente, schiva, riservata e, al tempo stesso, estremamente concreta e dinamica, l’ingegner Jervis nutriva una grande passione per l’alpinismo. Amava le montagne, le ascensioni in roccia e fece parte del Club Alpino Accademico Italiano, la sezione d’eccellenza del sodalizio, il fiore all’occhiello del CAI formato da alpinisti che si erano distinti per le loro imprese sportive. Deciso oppositore del fascismo dopo l’armistizio dell’ 8 settembre fu tra i primi a organizzare la resistenza armata nella zona di Ivrea.
Piazza Willy Jervis a Villar Pellice
Mettendo a frutto la sua abilità alpinistica e la conoscenza delle lingue, accompagnò più volte gruppi di profughi ebrei e di sbandati in Svizzera, dove entrò in contatto con esponenti dell’esercito e dei servizi segreti militari inglesi dell’OSS che gli affidarono importanti missioni di collegamento con i partigiani italiani. Ricercato da fascisti e nazisti, Jervis raggiunse Torre Pellice e le Valli valdesi dove proseguì l’attività partigiana con il nome di battaglia di “Willy”. Commissario politico delle formazioni“Giustizia e Libertà”piemontesi, l’ingegnere olivettiano si distinse per coraggio e altruismo, organizzando anche il primo lancio di armi ai partigiani nel gennaio del ’44, un episodio importante che Giorgio Agosti ricordò così: “In quell’alta Val d’Angrogna che aveva visto accendersi i fuochi dei valdesi che difendevano la loro libertà contro le truppe francesi e piemontesi, Jervis ebbe la gioia di accendere i fuochi che accolsero il primo lancio di armi effettuato dagli alleati nelle alpi occidentali”.
Una cartolina del rifugio Willy Jervis in alta val Pellice
Un paio di mesi dopo, la mattina dell’11 marzo, Jervis fu fermato da una pattuglia delle SS sul ponte di Bibiana perché sprovvisto dei documenti di circolazione della sua motocicletta. Portato in caserma, prima di essere interrogato, Jervis tentò inutilmente di disfarsi del materiale compromettente e venne trasferito e rinchiuso per cinque mesi nelle Carceri Nuove di Torino in attesa della condanna a morte. Torturato a lungo, non rivelò alcuna informazione che potesse nuocere al movimento partigiano. Nonostante le dure restrizioni della vita carceraria riuscì clandestinamente a scrivere delle lettere alla moglie. Nella notte tra i 4 e il 5 agosto 1944, insieme ad altri quattro compagni, venne portato a Villar Pellice e fucilato sulla piazza del paese che, oggi, a memoria del suo sacrificio, ne porta il nome. Il corpo di Willy Jervis, a spregio e monito, fu poi impiccato ad un albero. Il giorno dopo, sul luogo dell’esecuzione, fu ritrovata la Bibbia tascabile che portava sempre con sé sulla quale aveva inciso con uno spillo l’ultimo suo pensiero: “Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea”. Dopo la sua morte, considerando il suo ingegnere un “caduto sul lavoro”, Adriano Olivetti si offrì di mantenere la famiglia di Jervis, chiedendo alla vedova Lucilla Rochat “l’onore di provvedere” a lei e ai figli.
Willy Jervis
Nel 1950 Jervis venne decorato alla memoria con la medaglia d’oro al valor militare. A Guglielmo Jervis sono dedicati anche due rifugi alpini (uno a Ceresole Reale, in Valle Orco, sulle Alpi Graie, l’altro a Bobbio Pellice, in val Pellice, nelle Alpi Cozie). Un testo fondamentale per approfondire la sua storia è“Un filo tenace. Lettere e memorie 1944–1969”, raccolta della corrispondenza fra il Willy Jervis, la moglie Lucilla Rochat e Giorgio Agosti, pubblicata da Bollati Boringhieri a cura di Luciano Boccalatte, con l’introduzione di Giovanni De Luna e la postfazione di Giovanni Jervis, figlio di Willy e importante psichiatra, collaboratore di Franco Basaglia, scomparso nel 2009.
Fonte: https://crpiemonte.medium.com/willy-jervis-dallolivetti-alla-lotta-partigiana-1ea97602e2a5