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Il progetto di storia, i viaggi della memoria

2025-06-04 07:56

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Il progetto di storia, i viaggi della memoria

Come comunicare i contenuti storici oggi? Un buon esempio è quello del Progetto di storia contemporanea promosso dal Consiglio regionale del Piemonte che rappresenta un caso concreto e sperimentato. Il Piemonte è stata la prima regione in Italia ad istituire per legge un Comitato per la difesa e l'affermazione dei valori della Resistenza e della Costituzione nel 1976 e tra le prime a promuovere progetti di studio sulla storia contemporanea. Il Progetto di Storia Contemporanea rivolto agli studenti degli Istituti di istruzione secondaria di II grado e degli Enti di formazione professionale ha ormai alle spalle più di quaranta edizioni. Avviato nel 1981, ha coinvolto decine di migliaia di studenti con i loro docenti in tutto il Piemonte offrendo l’occasione per approfondire insieme temi di grande attualità e argomenti legati alla storia contemporanea, misurandosi con la più vasta gamma di mezzi d’indagine e di espressione ( dagli elaborati scritti, le forme più classiche di ricerca, alle fotografie, realizzazioni artistiche, mostre documentarie, graphic novel, prodotti audiovisivi, multimediali, piecè teatrali, giochi da tavolo e molto altro). Grazie a questo progetto gli studenti si sono misurati sui temi della storia attraverso il lavori di ricerca e di interpretazione, assumendo responsabilità nelle scelte e nell’utilizzo degli strumenti critici più idonei. Spesso conta molto anche la forma di narrazione. Non a caso, accanto alle ricerche tradizionali, sono cresciute molto le forme artistiche, l’uso del fumetto, della video intervista, dell’espressione visiva e orale attraverso un’opera, una rappresentazione teatrale, oppure un gioco, reinventando in chiave moderna e storica antiche forme ludiche come il gioco dell’oca o del Monopoli. Avvicinarsi alla storia implica che si abbiano delle domande che hanno a che fare anche con il presente. Significa avere un’inquietudine nei confronti del quotidiano e porsi domande su ciò che è accaduto in passato. Tentare di interrogarsi sul passato, trasmettere anche con passione lo studio della storia, equivale ad avventurarsi nella complessità delle vicende umane. Un tempo il saggio di storia parlava a tutti; era il veicolo principale di comunicazione storica. Oggi, grazie alla ragnatela globale di Internet, le informazioni e le documentazioni sono largamente fruibili per tutti, anche se occorre sempre saper discernere. Nella ricerca delle tracce da proporre agli studenti che intendono ogni anno partecipare al progetto di storia, ad esempio, gli storici incaricati prendono in esame molti elementi, dal calendario civile delle ricorrenze a temi che possono avere un impatto con la vita di tutti i giorni. Svolti e consegnati i lavori la commissione composta dagli storici fa le sue valutazioni e i vincitori di ogni edizione partecipano ai viaggi studio nei luoghi della memoria in Italia e in Europa: dai lager di Auschwitz-Birkenau (Polonia), Ravensbruck, Sachsenhausen e Dachau (Germania), Mauthausen (Austria), alle città di Sarajevo,Mostar e Srebrenica (Bosnia), al confine orientale italiano con Trieste (Risiera di San Sabba e foiba di Basovizza) e il Sacrario della Grande Guerra a Redipuglia (Go). Anche queste sono esperienze importanti. Dove scatta il coinvolgimento emotivo c’è uno spazio di conoscenza. E una necessità, un desiderio di saperne di più, sfruttando l’esperienza sul campo che viene vissuta nell’impatto quasi fisico con i lager, i teatri di guerra, le realtà dove si sono consumati gli ultimi conflitti del secolo breve come nei Balcani. Paolo Rumiz, giornalista e scrittore che si è occupato spesso di vicende storiche, dai conflitti balcanici alla prima guerra mondiale, invita spesso a porsi di fronte al passato “non soltanto con la mente, ma anche con il cuore, la pancia, i piedi. Con la pelle”. E’ noto il suo lungo viaggio sui fronti della Grande Guerra, con reportage e video racconti. Nel primo approccio scelse di mettere su un vecchio grammofono un disco di un secolo fa. Immediatamente il valzer riportava al 28 giugno 1914, il giorno in cui l'Arciduca Francesco Ferdinando, successore al trono dell'impero austroungarico, venne ucciso a Sarajevo. E poi, a piedi, percorre il tragitto dal porto di Trieste alla stazione ferroviaria. Vale la pena leggerlo: “Milleottocento passi. La fine del mondo si consuma in milleottocento passi. Per la precisione milleottocentoquattro, quelli che ho misurato fra il mare davanti a piazza Unità e la Stazione Centrale. Sì, questo viaggio parte da Trieste, la mattina afosa del 2 luglio del 1914, su un corteo di carri neri e cavalli neri, tra due impressionanti ali di folla, in un silenzio di piombo. È qui che sbarcano, da morti, Franz Ferdinand e sua moglie, dopo l’attentato del 28giugno a Sarajevo. Qui, fra le 7.45 e le 9.50 di quella data fatale, in anticipo di un giorno su Vienna, inizia il conto alla rovescia verso la guerra. Perché qui l’impero ha la sua prima, attonita percezione del disastro imminente…”. Partendo da quei milleottocento passi Rumiz ricostruì un grande affresco narrativo che, nel tempo, ha affinato fino a raccontarci la vicenda degli italiani “con la divisa sbagliata” - friulani e giuliani, trentini e dell’alto Adige – che combatterono e morirono per l’Impero di Francesco Giuseppe essendo nati in territori dominati dagli Asburgo. Entrarono in guerra sotto un’altra bandiera, non nel maggio del ’15, ma in un mattino di luglio del ’14. Un modo di raccontare la storia con un viaggio materico, consumato in gran parte a piedi e in treno , fatto anche di odori e sapori, dormendo nei resti delle trincee, magari sotto un temporale, nel fango. E’ una forma di linguaggio nuovo, che scuote e riporta l’attenzione su quelle drammatiche vicende che segnarono la storia europea. Un linguaggio che denuncia la pericolosa smemoratezza dell'Europa di oggi tra guerre, migrazioni, muri e celebrazioni di divisioni confinarie. Sempre Paolo Rumiz ricordava che leggere ad alta voce nei valloni sotto il Monte Ortigara Le scarpe al sole di Paolo Monelli, uno dei più intensi diari di guerra, scritto nel 1919, trasforma il luogo in cassa di risonanza delle parole dell’autore, le rende vive e mette tutti nelle condizioni di immaginare come la “Guerra non sia mai grande”. Leggiamone un brano: La nostra condanna è in questo cielo di rame inesorabilmente pesante sui nostri cranii, in questa poltiglia di carogne che infracidiscono, in questa dura sassaia cui siamo inchiodati dal nostro mestiere come la farfalla sulla tavoletta di legno del collezionista…L’hai voluta la penna? Hai venduto la vacca? Hai portato il butirro al sindaco perché ti mettesse negli alpini? In un sacco ci hanno messo ed ogni tanto l’allegro macellaio ci prende e ci butta sul pancone sanguinoso; poi, quando sarà finita, raccatterà quelli che saranno ancora buoni per un’altra volta e li rinsaccherà…”. La parola che narra, in un’azione del genere, è al centro di tutto: la voce, alta nella lettura e nell’affabulazione, aiuta a immedesimarsi e a immaginare, e quindi ad appropriarsi del senso storico. La storia esce dal libro, si incarna attraverso l’oralità, si riappropria del luogo e suscita emozioni. Ecco perché, tornando alle esperienze dei viaggi degli studenti e del loro lavoro di ricerca, è importantissimo vedere film sulle guerre Jugoslave mentre si viaggia in pullman verso i Balcani o si attraversa l’Adriatico in nave. Lo stesso vale per la lettura di brani di Sarajevo, il libro dell’assedio, con le poesie di Sarajlic o le riflessioni di Abdulah Sidran, commediografo e poeta, sceneggiatore dei primi film di Emir Kusturica. Aver potuto partecipare, in passato, al corteo delle donne di Srebrenica a Tuzla, nella Bosnia centrale, alternandosi con loro, mano nella mano, reggendo quella teoria di federe ricamate con nome e data di nascita dei loro uomini uccisi nell’ultimo genocidio del ‘900 in terra europea, ancora senza una sepoltura, è stata per molti un’esperienza che li ha segnati in profondità. Tutto ciò può avvenire con un tipo di narrazione nuova, in cui si crea un cortocircuito tra le testimonianze dirette di chi ha vissuto gli eventi e la visita partecipata agli stessi luoghi. Ovviamente è più forte l’emozione dove la storia è ancora molto recente, come in Bosnia. Le case di Mostar che portano ancora i segni dei colpi degli snjper e delle granate sono memoria visiva. Lo stesso le testimonianze a Tuzla dei famigliari dei 71 giovani uccisi da una granata il 25 maggio 1995, nel giorno della festa della gioventù, una ricorrenza molto jugoslava che non piaceva (non piace nemmeno oggi) ai nazionalisti. Lo stesso discorso si può fare per i lager nazisti. L’incombente e tetra fortezza di pietra di Mauthausen, con l’angusta e terribile camera a gas, i forni crematori e la cava di pietra; i campi di Auschwitz e Birkenau, dove – insieme a quelli di Sobibor, Majdanek e Treblinka - venne portata al parossismo l’atrocità della “soluzione finale” del popolo ebraico; le gallerie umide e buie di Dora Mittelbau, il lager in Turingia dove venivano costruite le V2 nei due grandi tunnel sotterranei, lunghi circa tre chilometri e collegati fra loro da una quarantina di gallerie. All’interno del campo lavorarono anche importanti scienziati nazisti, tra i quali Wernher von Braun, il padre di questi missili, al quale si deve in parte il progresso scientifico aerospaziale che ha permesso all’uomo di andare sulla Luna. Il lager di Buchenwald, in mezzo ai boschi e sulla collina che dista otto chilometri da Weimar, uno dei maggiori centri della cultura tedesca ed europea, dove vissero personalità del calibro di Bach, Goethe, Schiller, Liszt, Wagner e Nietzsche. Sembra incredibile ma è la realtà: la culla della cultura del continente a fianco di una delle peggiori fabbriche della morte e dell’orrore. Oppure la Risiera di San Sabba a Trieste, unico campo di sterminio nazista in Italia, o la foiba di Basovizza, sempre a Trieste, emblema di una delle vicende più tragiche dei conflitti che hanno insanguinato il nostro confine orientale. E, rimanendo ad est, l’imponente Sacrario di Redipuglia dove sono raccolte le spoglie di oltre 100 mila soldati italiani caduti durante la prima guerra mondiale, con tutto il sistema difensivo delle trincee, dei camminamenti e delle doline che lo circondano. I luoghi parlano se si sanno ascoltare. E il compito di una narrazione della storia è anche questo: approfondire, conoscere, predisporre all’ascolto. Un tempo c’erano i testimoni e la loro partecipazione ai viaggi era di vitale importanza. Ora che sono scomparsi, resta il loro lascito che va gelosamente conservato nei materiali, nelle interviste, in quanto hanno insegnato. E’ importante e necessario che ci siano degli intermediari ( gli storici assolvono questo compito) tra i luoghi in cui sono avvenuti i fatti storici, le emozioni che vengono disordinatamente a galla in chi li visita e la riflessione che connette il passato con il presente: i luoghi diventano significativi se qualcuno ne racconta la storia, li fa vivere con la parola. E’ indispensabile una mediazione che aiuti l’acquisizione di fatti storici sui quali poi si possa fare una riflessione per diventare patrimonio di memoria. In conclusione, formarsi una cultura storica significa avere gli strumenti per agire criticamente nel proprio presente. Un impegno oggi assolutamente prioritario. Rammentiamoci quanto scriveva Primo Levi:“Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia”.


Marco Travaglini



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